Nei palazzi romani non hanno dubbi: il vero vincitore del braccio di ferro con l’Europa sulla procedura d’infrazione si chiama Sergio Mattarella. E’ stato il presidente della Repubblica il sapiente regista dell’azione a tenaglia del “partito del Colle”, che sull’asse Conte-Tria-Moavero ha abbassato i toni, ha lavorato di lima e di cesello, e alla fine ha offerto ai burocrati comunitari la certezza che i conti italiani fossero davvero in ordine.



Per chi nutrisse dubbi sul fatto che la regia fosse mattarelliana tutto è diventato chiaro durante la visita di Stato a Vienna, quando il Capo dello Stato ha approfittato di una domanda posta in modo furbesco al presidente austriaco per dire con 24 ore di anticipo che non c’erano le condizioni per far scattare il procedimento comunitario. Una fuga in avanti che non sarebbe stata possibile senza avere avuto certezze preventive da una rete di relazioni discrete ma determinanti che vanno da Draghi a Juncker, da Moscovici a Macron.



Mattarella ha messo quindi il suo cappello suo un risultato politico tutt’altro che scontato, che si porta appresso due conseguenze di non poco conto, oltre all’aver stoppato la speculazione finanziaria internazionale che già si profilava all’orizzonte. Il primo effetto è l’aver posto una pesante ipoteca sulla legge di bilancio. Mattarella, infatti, a Vienna ha assicurato che “i conti saranno in ordine”. E in quel tempo futuro si intravede tutta la pesante vigilanza che il Quirinale si prepara a esercitare nei mesi della discussione della manovra economica.

Di non minore rilievo il secondo aspetto, l’aver cioè spuntato a Salvini l’arma più potente per far saltare il tavolo, e invocare il torno alle urne. Uno scontro frontale con l’Europa sarebbe stato foriero di nuovi consensi, e quindi una tentazione forte, anche per sottrarsi al peso della finanziaria prossima ventura.



Alla chiusura della finestra per elezioni a settembre mancano ancora una decina di giorni, e per questa ragione dalle parti del Colle non si può ancora brindare allo scampato pericolo, ma la vittoria sembra a portata di mano.

Nessuno si nasconde che nei prossimi mesi i due protagonisti destinati a fronteggiarsi sempre più saranno proprio Mattarella e Salvini, l’uno intenzionato a garantire l’ancoraggio europeo dell’Italia, l’altro forte del consenso popolare sempre più impaziente di ridisegnare alla radice il paese, tagliando le tasse e introducendo la flat tax. Fra i due si profila un continuo braccio di ferro, più o meno silenzioso difficile prevederlo, anche perché difettano i canali di dialogo.

Non c’è dubbio che dalla contesa intorno alla procedura d’infrazione il “partito del Colle” esca rafforzato. Guarda caso Conte si può permettere di ammonire i suoi due vicepremier di pensarci bene su prima di votare all’Europarlamento contro l’intesa che ha portato alla designazione di Ursula Von den Leyen alla guida della Commissione Europea. Dalla sua conferma dipende quel portafoglio di peso che il premier avrebbe negoziato.
Nelle prossime settimane assisteremo con ogni probabilità a una partita a scacchi fra i due colli vicini,

Quirinale e Viminale. Salvini cercherà di usare un tema come quello di frenare l’arrivo dei migranti per portare il presidente un po’ più dalla sua parte. Cosa inevitabile, dal momento che Mattarella ha ripetuto in ogni consesso europeo che il fenomeno migratorio deve essere gestito a livello comunitario, con conseguente equa distribuzione degli arrivi. Ma sarà scontro a tutto campo.

Il vero banco di prova sarà la sessione di bilancio, dove il leader leghista cercherà di andare oltre i vincoli europei per realizzare il suo programma, mentre il presidente metterà tutto il peso della sua ostinata moral suasion nello sforzo di non far debordare i conti pubblici italiani oltre gli impegni presi con Bruxelles.
Non è scontato chi avrà la forza di prevalere, anche per via del peso delle clausole di salvaguardia da evitare.

Ma la navigazione del governo sembra destinata a procedere tra tempeste e burrasche sino a fine anno. Con l’inizio del 2020 tutto diventerà possibile, anche la fine anticipata della legislatura.