Ieri l’Ocse ha diffuso le stime macroeconomiche sull’impatto della guerra in Ucraina, dalle quali emerge una forte asimmetria. Il Pil dell’Eurozona, infatti, crescerà di 1,5 punti percentuali in meno, mentre quello degli Stati Uniti di un punto percentuale in meno, per effetto della guerra.

Anche a livello di inflazione l’area euro subirà maggiori contraccolpi (+2% aggiuntivo per l’effetto della guerra) rispetto agli Usa (meno dell’1,5%). Come evidenzia Domenico Lombardi, economista ed ex consigliere del Fondo monetario internazionale, queste non sono però le uniche asimmetrie che emergono dalle previsioni dell’organizzazione con sede a Parigi. Soprattutto se confrontate con quelle della Bce diffuse esattamente sette giorni prima.



Più che per le previsioni macroeconomiche, la scorsa settimana si è parlato tanto della Bce per la scelta di accelerare la riduzione degli acquisti netti di titoli di stato…

Sì, sorprendendo i mercati e gli analisti, il Consiglio direttivo della Bce ha intensificato il ritmo di diminuzione degli acquisti non convenzionali sul mercato secondario dei titoli di stato e ha inasprito la postura di politica monetaria. Questo nonostante le previsioni macroeconomiche che la stessa Bce ha divulgato nel medesimo giorno. 



Perché? Cosa dicono quelle previsioni?

La Bce prevede che vi sia un forte rialzo dell’inflazione quest’anno (+5,1%), ma non nel medio periodo, tanto che rispetto a dicembre la stima per il 2024 è stata portata dall’1,8% all’1,9%, rimanendo di fatto stabile e a un livello inferiore al target del 2%. Non sembra esserci, quindi, uno spettro inflazionistico che giustifichi, a questo stadio, l’inasprimento della postura di politica monetaria, tanto che per il 2023 già si intravvede un calo al 2,1%. È poi interessante rilevare l’asimmetria tra le valutazioni di Bce e Ocse riguardo l’impatto della guerra sulle previsioni di crescita dell’Eurozona per il 2022: la Banca centrale le ha abbassate tra dicembre e marzo dal 4,2% al 3,7%, stimando quindi il costo della guerra in mezzo punto di Pil, mentre la valutazione dell’Ocse è pari quasi un punto e mezzo.



Le stime di Ocse e Bce divergono anche sull’inflazione?

L’Ocse parla di un 2% aggiuntivo, mentre la Bce ha alzato le stime per quest’anno dal 3,2% di dicembre al 5,1%. In sostanza, quindi, le stime dell’effetto della guerra sull’inflazione sono pressoché identiche.

Il che fa “risaltare” ancora di più quella divergenza relativa all’impatto della guerra sul Pil…

Nella sua narrativa, la Bce sembra sovrastimare le preoccupazioni legate alla dinamica inflazionistica, che non trovano peraltro riscontro nelle sue stesse previsioni, mentre pare sottostimare l’impatto della guerra sulla crescita del Pil dell’Eurozona. Il problema è che accelerare la fine del programma di acquisto di titoli di stato App ha un effetto asimmetrico sull’Eurozona e l’Italia ne viene maggiormente colpita rispetto ad altri Paesi: lo vediamo già dall’incremento registrato dallo spread che comporta un aumento sensibile del costo di rifinanziamento del nostro debito pubblico. Credo sia interessante anche rilevare un aspetto importante evidenziato dall’Ocse.

Quale?

L’Ocse sottolinea che l’impatto delle conseguenze della guerra in Ucraina, specie per quel che riguarda l’incremento dei prezzi di beni alimentari ed energetici, è differente non solo tra i vari Paesi, anche tra quelli membri dell’Eurozona, ma anche all’interno di ogni singolo Paese tra i differenti gruppi socio-economici. Viene, quindi, ritenuta necessaria una politica fiscale tendenzialmente espansiva con misure mirate sulle fasce più colpite piuttosto che di sostegno indiscriminato, come, per esempio il contenimento dei prezzi. È interessante notare che su questo fronte i principali Paesi, compreso il nostro, si stanno muovendo proprio nella direzione opposta rispetto a quella indicata dall’Ocse, con il rischio di appesantire i costi delle casse dello Stato aiutando anche chi ne ha meno bisogno.

La Bce rivedrà le sue decisioni in occasione del prossimo Consiglio direttivo del 14 aprile oppure bisognerà aspettare le nuove previsioni macroeconomiche di giugno?

Christine Lagarde ha spiegato che la decisione di anticipare la fine dell’App è sempre condizionata all’evoluzione dello scenario macroeconomico, in particolare in caso di un impatto negativo sulla dinamica dell’inflazione. Si tratta pertanto di una decisione che può essere sempre rivista, ma è improbabile che le precondizioni indicate dalla stessa Presidente della Bce perché ciò avvenga si realizzino già nell’arco di un mese. Per i Paesi ad alto debito come l’Italia aumenteranno, di conseguenza, le pressioni in un contesto in cui non è ancora chiaro quali vincoli europei sui bilanci pubblici saranno in vigore il prossimo anno.

In questo senso, l’Ocse evidenzia che le conseguenze del conflitto sono più pesanti per l’Eurozona che non per gli Stati Uniti. Questo può riuscire a velocizzare i tempi di decisione dell’Europa, sia sul Patto di stabilità che su eventuali fondi comunitari di cui si è cominciato a parlare a Versailles?

A fronte della crescente incertezza determinata dalla guerra in corso sarebbe più che mai necessario mitigarne gli effetti fornendo sin da ora dei parametri chiari rispetto al quadro di politica economica, in particolare sulla reintroduzione o meno dei vincoli connessi al Patto di stabilità. Soprattutto in un contesto in cui l’Italia è colpita dalle sanzioni in modo significativo. Riguardo agli Stati Uniti, la situazione economica è assai diversa da quella dell’Eurozona. In modo uniforme, l’insieme dei dati disponibili indica un surriscaldamento dell’economia americana, cui ha contribuito una politica fiscale iper espansiva, accentuata dall’attuale Amministrazione, e una situazione di sostanziale piena occupazione. Anche per questo la decisione presa mercoledì dalla Fed, peraltro ampiamente attesa dai mercati, appare corretta.

A questo punto il Consiglio europeo formale di fine mese diventa cruciale per l’Italia. 

Sì, anche alla luce della nuova postura di politica monetaria inaugurata dalla Bce la scorsa settimana, che sta contribuendo ad aumentare il costo di rifinanziamento del nostro debito. Inoltre, c’è un Pnrr che andrebbe quanto meno aggiornato stante la situazione attuale. L’Italia si trova in una situazione di maggior vulnerabilità rispetto ad altri Paesi, quindi, una maggior chiarezza, quanto meno sui vincoli di bilancio per il prossimo anno, sicuramente potrebbe fornirle beneficio.

(Lorenzo Torrisi)

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