C’è un’agenda Colao, ampia, dettagliata, anche troppo secondo molti critici, compresi i più benevoli e comprensivi. C’è un’agenda Visco dalla quale emergono “tre macro aree” nelle quali concentrare le risorse disponibili (Pubblica amministrazione, innovazione, patrimonio culturale). C’è un’agenda Conte? La domanda resta ancora senza risposta. Il presidente del Consiglio, aprendo gli Stati generali dell’economia nel sontuoso scenario romano di villa Pamphili, ha parlato di “investire sulla bellezza dell’Italia” e ha indicato “tre pilastri” che restano per il momento titoli di altrettanti capitoli tutti da scrivere: “modernizzazione del Paese”, “transizione ecologica” e “inclusione sociale, territoriale e di genere”.
Il Governatore della Banca d’Italia non ha fatto discorsi sul metodo. Ha sintetizzato e rilanciato le questioni chiave poste già nelle sue Considerazioni finali all’assemblea della banca centrale due settimane fa. “Il principale problema della nostra economia è, da oltre 20 anni, quello della bassa crescita, a sua volta riflesso della debolissima dinamica della produttività”, ha ribadito. Un punto che non appare mai al centro del dibattito sia nella maggioranza di governo, sia nell’opposizione parlamentare. Nel mondo politico prevale la distribuzione del reddito, non la sua produzione. Le divergenze riguardano i sostegni all’esistente, non gli incentivi per il futuro prossimo venturo.
“Per riportare la dinamica del prodotto lordo almeno all’1,5 per cento, il valore medio annuo registrato nei dieci anni precedenti la crisi finanziaria globale – ha ricordato Visco – servirà quindi un incremento medio della produttività del lavoro di quasi un punto percentuale all’anno”. È uno sforzo enorme guardando a quel che è accaduto ben prima della pandemia. Il coronavirus rende l’impresa ancor più ardua, soprattutto se il Pil scenderà fino al 13% come nelle previsioni più pessimistiche della Banca d’Italia e dell’Ue. Il succo è che bisogna rimboccarsi le maniche, fin sopra i gomiti, lavorare di più e meglio.
Tra i partiti nessuno lo dice, tutti preferiscono promettere “redditi universali” elargiti prima ancora di produrli, bonus e prebende aumentando il debito pubblico fino a un livello che lo rende difficilmente rimborsabile. L’Italia resta solvibile, anche grazie al suo elevato livello di risparmio, alla flessibilità dell’industria manifatturiera, al basso indebitamento delle famiglie e delle imprese. Il Paese ha potenzialità inutilizzate e risorse che debbono essere scongelate. “La sostenibilità del debito pubblico non è in discussione – ha ripetuto il Governatore -, ma il suo elevato livello in rapporto al prodotto è alimentato dal basso potenziale di crescita del Paese e al tempo stesso ne frena l’aumento”. Tutti lo sanno, pochi se ne preoccupano.
“I ritardi di produttività accumulati non possono essere colmati con politiche monetarie e di bilancio espansive – dice ancora Visco -. Le risorse vanno indirizzate dove è possibile ottenere i rendimenti sociali più elevati”. Rinnovare e rendere funzionali le infrastrutture tradizionali è una conditio sine qua non; gli investimenti sui quali puntare riguardano in primo luogo la modernizzazione dell’apparato pubblico (una priorità anche nell’agenda Colao), l’innovazione (anche qui in sintonia con le proposte della commissione), la salvaguardia del nostro patrimonio naturale e storico-artistico. È come se Visco avesse estratto dalle 120 pagine consegnate dagli esperti al Governo le cose da fare subito, offrendo una base sulla quale impostare il negoziato con l’Unione europea fino dal prossimo venerdì 19 giugno quando si riunisce il consiglio Ue con all’ordine del giorno il fondo per la ripresa.
La trattativa sarà dura, lo ha detto con grande realismo Paolo Gentiloni, commissario agli Affari economici. Ursula von del Leyen collegata in video non si è sbilanciata offrendo una battuta in italiano: “L’Europa s’è desta”. Speriamo che non si riaddormenti o che non venga paralizzata dai verti incrociati. In ogni caso i frutti non si vedranno se non alla fine dell’anno e il rischio è che sia troppo tardi anche se la Bce, rappresentata dalla presidente Christine Lagarde, anche lei da remoto, continuerà a stampare moneta e ad acquistare titoli di stato. La banca centrale farà la sua parte, ma occorrono “riforme ambiziose”, hanno sottolineato in piena sintonia le due donne al vertice dell’Ue.
Il Governo, insomma, deve impiegare subito e bene quel che ha messo già a disposizione. L’ex ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan dalle colonne del Foglio propone che venga anticipato il Def, il documento di economia e finanza che deve indicare le cifre; potrebbe essere già un modo per far scendere le parole o le proposte dal cielo delle intenzioni sulla terra delle scelte concrete. A condizione di avere chiaro in mente che cosa fare. E questo, al di là della retorica, ancora manca.
“Le risorse pubbliche per finanziare questi interventi e favorire un impiego produttivo di quelle private – ha sottolineato il Governatore della Banca d’Italia – possono venire da una ricomposizione del bilancio pubblico (più investimenti meno spesa corrente, ndr), da un recupero di base imponibile (lotta all’evasione, ndr), da una riduzione del premio per il rischio sui titoli di Stato (niente scherzi che facciano innalzare lo spread, ndr), da un uso pragmatico e accorto dei fondi europei”. La via è tracciata, bisogna avere il coraggio e la lucidità di imboccarla.