Secondo indiscrezioni rilanciate dall’agenzia Bloomberg, sul prossimo Documento di economia e finanza, previsto per il 10 aprile, il ministero dell’Economia scriverà che il Prodotto lordo italiano cresce dell’un per cento, quindi più delle precedenti stime. È una cifra chiave dalla quale dipendono tutte le altre, ed è il numero che sta creando molte aspettative.



Ci sono parecchi segnali positivi. È andata molto bene la vendita del Btp Valore salutata come un segnale di fiducia da parte degli italiani che a sua volta sostiene anche la fiducia dei mercati. Lo spread è molto basso certo anche perché peggiorano le attese sull’economia tedesca, ma non è solo una sorta di legge dei vasi comunicanti. Non c’è dubbio che la tenuta dell’economia italiana è reale e ha sorpreso molti osservatori stranieri a cominciare dal Financial Times.



Certo, il debito viaggia inesorabilmente verso i tremila miliardi di euro. Ma sabato scorso all’evento milanese del Foglio il sottosegretario all’Economia Federico Freni ha detto che il problema non è tanto l’ammontare assoluto, e nemmeno il rapporto con il Pil che dipende anche dal livello dell’inflazione perché il prodotto lordo si misura in termini monetari, quel che conta è il livello degli interessi che lo Stato italiano paga ed è in grado di pagare. Vero, tuttavia questi interessi sono già oltre 80 miliardi di euro annui e, secondo le stime, crescono. Il loro incremento potrà essere frenato dalla riduzione dei tassi d’interesse, ma nessuno è più sicuro di quando avverrà. I dati sull’inflazione americana collocano l’ascesa dei prezzi ancora al 4% e la Fed non si muoverà rapidamente. E la Bce non si muoverà da sola, né per prima.



Il rischio, dunque, è che le cifre della speranza diventino le cifre di un’illusione che apre la strada a una tremenda delusione. Prendiamo la crescita. Speriamo che davvero si possa toccare un punto percentuale, ma non c’è da stappare champagne. La Spagna è già a un ritmo superiore al due per cento. Quanto alla Francia viaggia allo stesso passo dell’Italia, chiude il 2023 a+0,9% e sta accelerando. Chi va male è la Germania che sta ancora attorno a crescita zero, ciò ricade in modo serio su tutta la filiera delle forniture industriali, quindi su gran parte della manifattura italiana. Non solo. La Commissione europea ha abbassato le stime per quest’anno dallo 0,9% di novembre allo 0,7%; può darsi che abbia torto (e lo speriamo tutti), ma i dati sulla produzione industriale non sono incoraggianti.

L’Ufficio studi della Confindustria calcola che il primo trimestre chiuderà con una crescita debole. A febbraio il sentiment delle aziende è calato. I servizi sono in moderata espansione: a febbraio il PMI (l’indice dei responsabili degli acquisti) conferma che il settore è tornato a crescere moderatamente, la fiducia delle imprese ha avuto però una battuta d’arresto. La domanda interna si è ridotta leggermente tra gennaio e febbraio. Le esportazioni che hanno spinto la forte ripresa post-pandemia, sono appesantite dal drammatico cambiamento delle condizioni geopolitiche, in modo particolare per le difficoltà del trasporto marittimo e l’aumento dei costi. Le tariffe di collegamento da Shanghai a Genova stano rientrando dal picco di fine gennaio, ma restano molto alte (-30% i primi sette giorni di marzo, dopo un +218% su novembre 2023).

Aspettiamo prima di fasciarci la testa. L’Italia ha dimostrato una grande resilienza come si usa dire oggi, grazie alle esportazioni manifatturiere e ai sostegni pubblici, entrambi tendono a rallentare se non a rientrare. Il Superbonus edilizio ha pesato in modo eccessivo sul disavanzo pubblico, andava ridotto forse persino più radicalmente, però questo ha una ricaduta forte sull’edilizia. Secondo l’Ance, l’associazione dei costruttori, l’unico modo di evitare che il settore vada in recessione è aprire davvero e su grande scala i cantieri del Pnrr. Ma finora il piano continua a muoversi a passi da lumaca.

Altre incognite pesano sull’industria: c’è la crisi senza fine dell’Ilva, il rischio che salti l’accordo tra ITA Airways e Lufthansa, mentre Tim ha subito un colpo durissimo e oggi vale il 25% in meno rispetto a un mese fa. Si tratta di grandi operazioni finanziarie e industriali, ma soprattutto sono a rischio migliaia di posti di lavoro. Sono 40 mila i dipendenti di Telecom Italia, quasi 11 mila quelli dell’Ilva di Taranto, circa settemila quelli di ITA. Senza contare l’indotto. Insomma solo queste tre incertezze rischiano di provocare una valanga sociale.

Non stiamo qui a fare i gufi, ma proprio per evitare che le speranze diventino delusioni cocenti occorre guardare in faccia alla realtà e intervenire in modo robusto e credibile nei punti di crisi. Aprile è il mese più crudele in Italia perché bisogna fare i conti e speriamo che questa volta siano accurati, dopo la sottovalutazione del costo del Superbonus, guai se adesso venisse sopravalutata la crescita tendenziale perché, magari, influenzati dal clima elettorale.

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