Dopo quello sulla crescita del Pil del secondo trimestre (+0,3%), Eurostat ha reso noto il dato sull’inflazione di luglio nell’Eurozona, che si è attestata al 2,6%, con differenze importanti tra i Paesi membri, visto che il Belgio ha fatto registrare un +5,5%, mentre la Finlandia un +0,6%. Come evidenzia Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, «il quadro che emerge da questi dati è il permanere di una situazione molto eterogenea nella dinamica sia dell’inflazione che dell’attività economica. Anche in quest’ultimo caso, infatti, vi sono differenze importanti tra i Paesi membri, come dimostra il -0,1% della Germania e il +0,8% della Spagna. In un momento in cui dovremmo avere una maggior convergenza tra i Paesi, obiettivo della stessa Ue, che però non è mai stato raggiunto, assistiamo, invece, a ulteriori spinte divergenti».
A cosa sono dovute queste ulteriori spinte divergenti?
A mio avviso dal quadro internazionale. La crisi prolungata della principale economia europea, la Germania, che non pensavo durasse così tanto, del resto è proprio figlia di mutati rapporti con la Russia e con la Cina. C’è un’incertezza politica generale nell’Eurozona che si ribalta sulle aspettative, influendo così negativamente sui piani di sviluppo delle imprese. Anche la missione della Premier Meloni in Cina è sintomo di questa incertezza.
In che modo lo è?
Dopo essere usciti dalla Via della Seta perché ritenevamo che il nostro partner economico centrale fossero gli Stati Uniti, dopo pochi mesi ci siamo accorti, forse anche per l’insicurezza su quello che accadrà Oltreoceano dopo le presidenziali, che è meglio riallacciare i rapporti con la Cina. E presumo che ciò sia avvenuto anche per la spinta delle imprese, soprattutto quelle più grandi.
A questa incertezza politica bisogna aggiungere anche quella determinata dalla Bce, che non esplicita in maniera chiara cosa intende fare sui tassi nei prossimi mesi?
Assolutamente sì. I fondamentali, come si usa dire in gergo, sono tutti a favore di una riduzione dei tassi, ma questo non sta accadendo. La Bce ritiene che il target del 2% verrà raggiunto l’anno prossimo, ma non possiamo aspettare così tanto per vedere venir meno una politica monetaria altamente restrittiva che sta rallentando l’economia. Anche perché gli effetti di una riduzione dei tassi impiegano del tempo per diventare tangibili.
Quali soluzioni si possono adottare per questo quadro di incertezza?
Credo che questa vagante incertezza che naviga per il continente richieda non affermazioni roboanti, ma una presa d’atto del fatto che alcune promesse che sono state formulate fino a poco tempo fa, per un motivo o per l’altro, non hanno potuto realizzarsi.
Quali promesse?
Per esempio, quelle relative al recupero del potere d’acquisto, al riequilibrio dell’economia o alla riduzione delle disuguaglianze, che al contrario continuano ad aumentare.
E dopo questa presa d’atto, cosa occorre fare?
Il primo e più elementare passo successivo è aumentare la disponibilità del credito. L’unico elemento che potrebbe essere utile senza causare eccessivi scossoni è la proposizione di una politica monetaria genuinamente orientata alla crescita. Ciò non toglie che qualcosa andrebbe fatto anche sul fronte della politica fiscale, dove si sta continuando a seguire la rotta, non certo propizia, tracciata dal nuovo Patto di stabilità.
Quindi, il primo passo spetta alla Bce…
Credo che sia fondamentale. Gli Stati Uniti hanno una situazione politica che più caotica non si può, ma la Fed, pur nelle sue incertezze ed esitazioni, si muove in questo momento meglio della Bce. In Europa, purtroppo, il governo della politica monetaria sembra un po’ essersi smarrito.
(Lorenzo Torrisi)
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