Il Meeting di Rimini torna in presenza dal 20 al 25 agosto. Intervengono ministri, leader di partito, manager, esponenti della società civile. Uno dei temi è “il lavoro che verrà”, approfondito nel Talk quotidiano delle 19, in diretta streaming. Ne abbiamo parlato con Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà.
Con l’emergenza Covid abbiamo lavorato in pochi e di più, perché lo smart working è tutt’altro che maturo…
Con la pandemia sono spariti 900.000 posti di lavoro in un anno. La cassa integrazione è esplosa. Recuperare un modello di sviluppo che metta al centro l’occupazione è diventato ancora più urgente. Il lavoro a distanza ha coinvolto una parte degli addetti e ha messo in luce aspetti positivi e negativi. Molte persone hanno evitato di spostarsi da casa, risparmiando tempo prezioso. Ma ore di collegamento al computer finiscono per essere alienanti. C’è bisogno di relazioni, di contatti umani. E soprattutto c’è bisogno di disponibilità a cambiare per creare nuovo sviluppo e lavoro.
Il rapporto 2021 della Fondazione per la Sussidiarietà indica che sono in corso profondi cambiamenti.
La globalizzazione, le tecnologie e la transizione ecologica stanno trasformando tutti i mestieri a ritmi mai visti prima. Alcuni studiosi prevedono che oltre metà delle professioni che esisteranno nel 2040 devono ancora essere inventate. Se guardiamo a quanto è successo dall’inizio del millennio, ci rendiamo conto che la velocità del cambiamento è aumentata notevolmente. Il rapporto ha analizzato le offerte di lavoro sui principali portali Internet negli ultimi sei anni: oltre 2 milioni e 650.000 annunci. Studiando l’evoluzione di circa 270 professioni, è emerso che in 5 anni, le competenze per svolgere qualsiasi lavoro si sono arricchite in media del 30%. A cambiare di più sono i mestieri legati alle nuove tecnologie come specialisti in intelligenza artificiale, analisi dati e robotica. Ma nuove abilità sono richieste anche ai classici cassieri dei supermercati.
Uno dei freni nel creare occupazione è il peso della tassazione sul lavoro. Cosa direte ai politici che verranno al Meeting?
L’Italia è soffocata da rigidità, burocrazia e tasse e fa fatica da sempre a creare occupazione. Guardiamo ai dati. Ogni 100 persone da 15 a 65 anni, nella Penisola solo 58 lavorano. In Europa sono 68 e in Germania addirittura 76. Ai politici chiederemo di avere coraggio e avviare una seria politica attiva del lavoro. Semplificare, ridurre le tasse sul lavoro. Puntare su settori e imprese in crescita. Valorizzare la vocazione dei territori. Un ruolo centrale lo svolgono i corpi intermedi.
Non c’è solo un problema di occupazione ma anche di offerta: perché non si trovano addetti qualificati?
Nel 2021, è iniziata la ripresa, che è stimata intorno al 5%, un tasso mai visto da decenni. In sei mesi sono apparsi sul web oltre 560.000 annunci di lavoro. Ma c’è un paradosso. In quasi un terzo dei casi le imprese faticano o non riescono a trovare addetti qualificati. I motivi sono vari. Quasi tre quarti delle posizioni proposte sono al Nord, mentre la maggior parte di chi cerca impiego è al Sud. E manca personale qualificato per alcuni mestieri. Non solo con le competenze professionali adeguate, ma anche con la disponibilità a “imparare a imparare” favorita dai “non cognitive skill”. Il reddito di cittadinanza è stato utile contro la povertà, ma non per sostenere l’occupazione. Grazie alla spinta del piano di ripresa e ai fondi europei ci sarà una svolta decisiva. Occorre però un cambio di mentalità. Il lavoro è sempre più un percorso e sempre meno un posto. Dovremo abituarci tutti al cambiamento, al movimento e all’apprendimento continuo.
Qual è la situazione della formazione continua dei lavoratori in Italia?
L’Italia è al di sotto degli standard europei nella formazione permanente. Ogni anno solo 7 italiani adulti su 100 frequentano corsi di formazione rispetto alla media europea di oltre 9 su 100. Occorre potenziare la formazione, a tutte le età.
(Paolo Viana)