Gli ambasciatori della UE spingono il piano su migranti e asilo. L’hanno approvato, per quanto di loro competenza, per affrettare i tempi del varo definitivo (nella sessione plenaria del Parlamento) prima che scatti il semestre di presidenza dell’Ungheria, notoriamente contraria al provvedimento.
Intanto, i flussi migratori diminuiscono, soprattutto perché calano gli arrivi dalla Tunisia: Saied, forse per dimostrare la sua buona volontà all’Europa e riuscire a ricevere in cambio gli aiuti di cui ha bisogno per evitare la bancarotta, sta effettuando controlli su partenze e trafficanti. E le conseguenze si sono viste anche sulle coste italiane.
Grandi manovre, invece, spiega Mauro Indelicato, giornalista de Il Giornale e di Inside Over, per quanto riguarda la Libia. Turchia e Russia sono attivissime. La prima può essere un interlocutore per l’Italia per controllare meglio i flussi, ma deve fare i conti con il ritrovato protagonismo degli USA. Mosca, invece, spinge con Haftar per avere una base navale, anche se poi ci sono sospetti sul suo coinvolgimento nel contrabbando di petrolio.
Pure la Francia avrebbe un piano: una Libia divisa in zone di influenza, con un’organizzazione sul tipo di quella federale.
Il Patto UE sulla migrazione e sull’asilo ha fatto un altro passo avanti. Quanto è lungo l’iter per approvarlo e quanto è accidentato?
Siamo sulla scia di quanto approvato a fine dicembre alla fine del semestre di presidenza spagnolo. Con quello belga si sta cercando di dare un’accelerazione a tutte le riforme, non solo a quella sull’immigrazione. I motivi sono due: a giugno ci sono le elezioni europee, quindi c’è interesse politico a far vedere il lavoro della Commissione uscente; inoltre, da luglio scatterà la presidenza ungherese e quello di Orbán è l’unico governo che si oppone a ogni tipo di patto sui migranti. Credo che si andrà avanti usando lo stesso schema politico adottato in occasione della trattativa per gli aiuti all’Ucraina, mandando avanti l’Italia, chiedendo a Giorgia Meloni di parlare con Orbán per sbloccare qualsiasi veto. Non c’è più il problema della Polonia: da qualche mese c’è il governo Tusk, che ha un’impostazione più liberale rispetto al precedente.
Ma perché Orbán resta contrario?
Il piano non sancisce l’obbligo della redistribuzione, però definisce quello della solidarietà. Nel momento in cui un Paese non si fa carico dei migranti arrivati, deve comunque sborsare dei soldi che alimentano un fondo destinato alla gestione dell’accoglienza. Orbán ha fatto capire che si opporrà anche a un tipo di solidarietà di natura economica.
I flussi migratori diretti alle coste italiane sono in diminuzione. Eppure, nonostante l’annunciato piano Mattei e il Memorandum con la Tunisia di fatto non ancora operativo, non ci sono provvedimenti concreti entrati in vigore che possano avere cambiato la situazione. Cosa è successo?
I migranti in arrivo sono diminuiti. Prendendo in considerazione i dati al 9 febbraio, nel 2023 avevamo 6.500 persone sbarcate, nel 2024 ne abbiamo 3.400. La responsabilità non la attribuirei né al Governo in sé, né alle manovre politiche a livello europeo che si sono viste in questi mesi. Gli effetti delle iniziative della Meloni si vedranno eventualmente nel lungo periodo. Quello che è successo è che il governo della Tunisia ha cominciato a presidiare le coste in modo massiccio. Da novembre in poi si è assistito a diverse operazioni della polizia e della guardia costiera volte a rintracciare migranti in partenza e a smantellare organizzazioni di trafficanti. Proprio recentemente sono state arrestate 10 persone a Sfax e individuati laboratori di barconi. Si ha notizia anche di un maggiore presidio del confine con l’Algeria, dal quale erano transitati molti migranti che poi prendevano la via dell’Europa.
Ma perché il presidente Saied si sta dando così da fare?
Il Memorandum di questa estate a livello formale ha avuto diversi rinvii. Saied non si è mosso per quello. Probabilmente ha capito che per avere l’Occidente dalla propria parte in vista dello sblocco dei fondi che gli sono stati promessi è meglio mostrarsi collaborativo. E questo è un elemento di incognita perché, se i fondi non arriveranno e Saied cambierà idea, saremo punto e a capo.
È un anno che si parla di Tunisia sull’orlo della bancarotta, ma il Paese non è ancora caduto nel burrone. Qual è la situazione attuale?
La Tunisia può resistere per almeno un anno, ma nel lungo periodo rischia molto. Saied galleggia, ma il burrone non è così lontano.
Decisioni come quella di dare il via al Patto Italia-Albania, delocalizzando i centri nei quali valutare l’idoneità o meno dei migranti a ricevere asilo, ha qualche effetto di deterrenza nei confronti dei migranti?
È prematuro parlare di questi effetti. L’intenzione di costruire centri di accoglienza in Albania non ha degli effetti pratici al momento. Si vedranno eventualmente nel medio e lungo periodo.
In Libia, invece, si nota una grande attività di turchi e russi soprattutto. Cosa sta succedendo?
C’è un attivismo generalizzato. Gli USA stanno cercando accordi economici che potrebbero mettere in imbarazzo anche l’Italia. I russi parlano con Haftar per avere una base navale in Cirenaica. E i turchi non vogliono perdere il loro predominio militare a Tripoli, che potrebbe essere teatro di un duello tutto interno alla NATO, tra USA e Turchia, per contendersi la leadership dell’influenza sulla capitale. Gas e petrolio libico interessano molti perché non devono sottostare alle azioni degli Houthi nel Mar Rosso. Gli Stati Uniti vogliono tornare sullo scenario a discapito dei russi. È ricominciato il grande gioco libico.
Secondo alcuni analisti i russi, oltre alla presenza militare, contrabbandano anche petrolio libico. È così?
In Libia si contrabbanda tantissimo petrolio. La Cirenaica ne è piena e lì agisce la ex Wagner. Non ci sono prove, ma non è difficile pensare che ci sia questo contrabbando, con la complicità delle forze di Haftar.
Per quanto riguarda i flussi, la Libia come è messa?
Gli arrivi sono stabili. L’attuale diminuzione del trend degli sbarchi in Italia è dovuta unicamente al calo della Tunisia.
La Meloni qualche settimana or sono ha incontrato Erdogan. La Turchia può avere un ruolo nei nostri confronti per controllare l’arrivo dei migranti?
C’è un doppio fronte con la Turchia. Siamo vicini all’anniversario della strage di Cutro: in quel caso, le persone decedute erano partite dalle coste turche. Poi c’è l’influenza di Ankara sulle milizie libiche. Erdogan può avere un ruolo in entrambi i casi. Con l’Italia ci potrebbe essere un matrimonio di convenienza: Roma ha bisogno dei turchi per controllare i migranti e per il mantenimento della stabilità, quanto meno a Tripoli; la Turchia invece ha bisogno di noi perché si sente minacciata dal ritorno degli USA e può cercare nell’Italia una sponda per evitare uno strapotere americano nella zona che fa capo al governo di Dbeibah.
Si parla anche di un piano francese per sistemare il dossier libico. Di cosa si tratta?
Di questo piano, per il momento, non c’è traccia nelle cancellerie internazionali. Per ora sembra un’iniziativa velleitaria. Solo il futuro dirà se Macron sta facendo sul serio. La Libia dovrebbe essere divisa in più aree di influenza: all’unità del Paese si arriverebbe mantenendo lo status quo. Una visione quasi federale.
(Paolo Rossetti)
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