“Preferiamo la pace o il condizionatore acceso?” Con una delle sue frasi a effetto Mario Draghi ha posto agli italiani un dilemma drammatico e per ora irrisolvibile perché la pace è lontana e l’austerità energetica sembra proprio inevitabile. Se questa è l’amara verità, che cosa stanno facendo il Governo e i partiti per affrontarla? 



Domani Draghi sarà ad Algeri, una missione delicata ed estremamente importante, una tappa nel difficile cammino che dovrebbe portare l’Italia fuori dal legame esiziale con il gas russo anche aumentando il flusso che arriva dal Nord Africa. Tornato a Roma lo aspetta un percorso pieno di trabocchetti per tenere insieme una maggioranza sempre più sfarinata. 



Il centrodestra ha issato la bandiera No Tax che può diventare la piattaforma per la prossima campagna elettorale. Il capo del governo ha reagito con irritazione la settimana scorsa, ribadendo che “nessuno pagherà più tasse. Il Governo non tocca le case degli italiani. E lo stesso sarà per gli affitti e per i risparmi”. Ma se è vero per quest’anno e (forse) per il prossimo, che accadrà con le due riforme previste dal Pnrr, cioè il fisco e il catasto? 

È questo dubbio di fondo, unito a una bella dose di sfiducia e di malizia politica, che spinge il centrodestra a rifiutare la delega fiscale e la revisione dei valori immobiliari. Tutta benzina per alimentare un fuoco che non avrebbe bisogno di ulteriore carburante, perché l’economia italiana sta scivolando più rapidamente del previsto lungo il piano inclinato della stagflazione. 



L’aumento dei prezzi è già fuori misura: a marzo l’inflazione ha raggiunto il 6,7%, un livello che non si verificava da luglio 1991 secondo le stime della Banca d’Italia. Nel frattempo, produzione e consumi sono in netta frenata. Nei primi tre mesi dell’anno il prodotto lordo si è ridotto di più di mezzo punto percentuale dall’ultimo trimestre dello scorso anno, ha detto il direttore generale di Banca d’Italia, Luigi Federico Signorini, intervenendo a Cagliari al congresso dell’Acri. Prima la variante Omicron del coronavirus (“meno devastante delle precedenti in termini di conseguenze sanitarie gravi, ma più facile alla trasmissione con una significativa perdita di giornate di lavoro”, ha spiegato Signorini) e poi, dal 24 febbraio, è arrivata l’invasione russa dell’Ucraina. “Gli ulteriori rincari delle fonti energetiche – ha aggiunto il direttore generale di palazzo Koch – e le incertezze sul relativo approvvigionamento hanno appesantito ulteriormente il clima congiunturale. I dati ad alta frequenza segnalano diminuzioni sia nell’attività manifatturiera, sia in quella dei servizi”, a causa della riduzione della spesa delle famiglie. Il carovita che sta cominciando a creare difficoltà immediate per una parte delle famiglie italiane, soprattutto nelle fasce di reddito più basse, la cui propensione al consumo è più elevata, e le disponibilità liquide più contenute”. 

Che fare? Si discute a palazzo Chigi e in Parlamento di imporre un tetto al prezzo del gas, misura popolare, ma complicata e dagli effetti contraddittori. Intanto è una decisione da prendere insieme agli altri Paesi dell’Ue, altrimenti il metano verrebbe indirizzato verso chi lo paga di più. Basta rileggere le pagine dei Promessi sposi: forse perché nipote di Cesare Beccaria, ma Alessandro Manzoni ha spiegato chiaramente come bloccando i prezzi si crea scarsità. Signorini che è economista di professione e ha letto sia Beccaria, sia Manzoni, ha suggerito che il Governo dovrebbe concentrarsi non tanto sull’abbassare i prezzi per decreto, quanto “sull’obiettivo di sostenere, in un’ottica di emergenza, il reddito delle famiglie e delle imprese, mitigando le conseguenze sociali dello shock”. Per esempio, sulle orme di altri Paesi europei, potrebbero essere ridotte le tasse sui prodotti energetici. Misura che impatta direttamente sulla questione fiscale.

Ridurre Iva e accise, non aumentare le imposte, è questo l’intervento più efficace anche secondo la Banca d’Italia. Musica per il centrodestra. L’aumento dei prezzi ripropone un altro fattore del quale ci eravamo dimenticati durante questo decennio di inflazione zero: il fiscal drag. In altri termini, l’aumento della pressione fiscale causato dall’espansione nominale dei redditi in presenza di aliquote fiscali crescenti. È un effetto perverso che sconsiglia di reagire con aumenti dei salari nominali come invece propongono i sindacati, soprattutto la Cgil. Inoltre, in fase di produzione stagnante o decrescente ogni aumento delle tasse, anche soltanto atteso, spinge a ridurre i consumi e a risparmiare di più per motivi precauzionali. Un comportamento pro ciclico che accelera la contrazione del Pil. 

Questo nuovo scenario negativo ha spinto il ministro Daniele Franco a una prudenza ancora maggiore del solito. Il Documento di economia e finanza è a dir poco minimalista, o meglio potremmo definirlo marginalista. Il Governo, in altre parole, prevede interventi a margine dei parametri di bilancio pre-definiti. La scelta è di non cambiare gli equilibri di fondo e utilizzare gli spazi liberati dall’aumento del Pil più forte del previsto nel 2021. Un “tesoretto” come si dice, generato da un incremento delle entrate che, alla luce delle previsioni per quest’anno, è destinato a restare una tantum. Così facendo non solo non si accontenta nessuno, ma non si interviene nemmeno a sufficienza per bloccare la discesa del Pil. Troppo poco e forse anche troppo tardi. Una cautela che sembra in contraddizione con la realtà di fronte alla quale Draghi ha messo tutti noi senza andare troppo per il sottile.

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