La crescita italiana si è fermata in primavera. Lo scrive la Banca d’Italia nell’ultimo bollettino economico, ma questa notizia è passata quasi inosservata sulla stampa e nel dibattito politico. Siamo ancora sotto l’effetto inebriante di un’Italia che va meglio dei suoi più diretti concorrenti, la Francia e la Germania, mentre dovremmo cominciare a riflettere sulle conseguenze di una frenata che sarà ancor più brusca nella seconda metà dell’anno perché non potremo contare sulla locomotiva estera che ha trainato ancora una volta il prodotto lordo, mentre sarà stato già digerito l’impatto del turismo e gli italiani cominceranno a dover restituire sotto forma fiscale parte di quel che è stato distribuito con bonus e sostegni vari.
Tutto ciò mentre l’inflazione continua a scendere troppo lentamente (la media annua è del 6%, l’inflazione di fondo al 4,5% secondo Bankitalia) e solo l’anno prossimo dovrebbe tornare vicina all’obiettivo del 2%. Ciò vuol dire che i tassi d’interesse saliranno ancora: tra dieci giorni, giovedì 27, la Banca centrale europea deciderà un nuovo rincaro. Secondo Ignazio Visco, governatore fino a novembre, la corsa al rialzo si fermerà solo a fine anno. La politica monetaria, dunque, continua a dare una spinta al ribasso.
“L’attività economica mondiale è frenata dall’alta inflazione e da condizioni di finanziamento restrittive – scrive Bankitalia -. Negli Stati Uniti il prodotto decelera e in Cina il recupero dell’attività sta perdendo nuovamente slancio”. Per l’Italia, “il quadro macroeconomico continua a essere caratterizzato da forte incertezza. I rischi per la crescita sono orientati al ribasso e legati in particolare all’evoluzione del conflitto in Ucraina e alla possibilità di un irrigidimento delle condizioni di finanziamento maggiore di quanto atteso”. Sull’inflazione agiscono due spinte contrastanti: da un lato, la riduzione dei prezzi dei beni energetici non si è scaricata completamente sui prezzi finali rimasti più alti del previsto, dall’altro, “un deterioramento più marcato e duraturo della domanda aggregata” li spinge in basso. Questo tira e molla è destinato a durare e finirà, prevede l’ufficio studi della banca centrale, solo il prossimo anno.
In via Nazionale non volano i gufi, sia chiaro, nell’economia italiana agiscono ancora fattori positivi: “aumenta l’occupazione, la dinamica salariale si rafforza (senza innescare una spirale salari-prezzi), e aumentano lievemente i margini di profitto nella manifattura dove sono tornati a livelli superiori alla pandemia, non nelle costruzioni e nei servizi”. Ma chi si era cullato nell’illusione di innescare il pilota automatico contando sull’effetto trascinamento del boom precedente, si è sbagliato di grosso.
La tenuta dell’economia dipende da alcuni fattori esogeni: la politica fiscale, la strategia della Bce e quella dell’Unione europea. Il bilancio pubblico italiano è in sofferenza, l’ultimo allarme viene da Paolo Savona, economista emerito e ora Presidente della Consob. Ma al ministero dell’Economia è da tempo che sono in allerta. Se non arrivano i quattrini europei del Pnrr si apre un problema immediato di liquidità che costringerà a emettere nuovi titoli di stato aumentando così il debito che finora è in discesa in rapporto al Pil, ma resta al 140% superiore anche a quello greco e batte nuovi record in quantità (a maggio è arrivato a 2.817 miliardi aumentando di cinque miliardi nel corso del mese e di oltre 59 miliardi in un anno). Dunque sarà impossibile che venga da qui un sostegno alla congiuntura. Ci sarebbe un qualche sollievo se a Bruxelles prevalesse una linea morbida, ma così non è come dimostra la discussione sulla riforma del Patto di stabilità. È fondamentale dunque che entrino le risorse destinate agli investimenti, ma la terza rata (19 miliardi) è ancora in stallo nonostante Gentiloni ripete che arriverà prossimamente, e si allontana di conseguenza anche la quarta di 16 miliardi.
La Bce, come abbiamo detto, andrà avanti come se nulla fosse perché la sua unica arma per frenare i prezzi è efficace solo se ferma la domanda e provoca una recessione, magari moderata, ma pur sempre recessione. In Germania è già arrivata anche se i prezzi al consumo restano ancora al 6%. Ciò vuol dire che non basta una discesa del Pil di mezzo punto come è avvenuto finora. E sappiamo quanto l’economia italiana sia legata a quella tedesca.
Due dei fattori esogeni non giocano, insomma, a favore dell’Italia. Il terzo ancora meno. Tra le rimozioni della scorsa settimana c’è anche il discorso sull’Europa tenuto da Mario Draghi a Cambridge, Massachusetts. Giovanni Tria, ex ministro dell’Economia, ha lamentato sul Sole 24 Ore che le analisi di Draghi non abbiano suscitato “adeguata attenzione pubblica in Italia”. La questione chiave è che prevale ancora a Bruxelles l’obiettivo di ridurre i debiti nazionali, mentre il nuovo scenario economico e geopolitico dovrebbe mettere in primo piano la costruzione di un vero bilancio federale. Così mentre la Bce conduce una politica monetaria comune non esiste una politica fiscale europea che possa bilanciarla o assecondarla a seconda delle necessità. Oggi dovrebbe bilanciarla per evitare che la disinflazione si trasformi in recessione non con erogazioni monetarie a pioggia, ma con investimenti basati su un bilancio comune.
Ma, così com’è stato messo in sordina il bollettino di Bankitalia, il discorso di Draghi non ha trovato udienza in una politica che si sta occupando delle baruffe di cortile, come in una commedia di Carlo Goldoni.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.