“Gli aumenti dei tassi saranno graduali”, un rialzo “di 50 punti base non fa parte del consensus”. Così da Davos il Governatore della banca centrale francese François Villeroy de Galhau cerca di dare rassicurazioni sulle prossime mosse della Bce, che comunque, come ci spiega Massimo D’Antoni, professore di Scienza delle finanze all’Università di Siena, penalizzeranno l’Italia, che dovrà prestare anche molta attenzione ai suoi conti pubblici, dopo le raccomandazioni rivoltele dalla Commissione europea.



Il Patto di stabilità e crescita è stato sospeso per un altro anno. Possiamo esserne contenti nel momento in cui da parte di Bruxelles viene comunque ribadita l’attenzione che bisogna avere per i livelli di deficit e debito?

Forse contenti non è il termine più appropriato, visto che la sospensione è dovuta alle conseguenze, che si prevedono pesanti per l’economia europea, del conflitto in Ucraina. Diciamo che è stata una scelta obbligata, che cerca di limitare i danni dando ai Governi un po’ di spazio fiscale. Fa bene a ricordare che la decisione è accompagnata da un avvertimento: la Commissione e il Consiglio si aspettano che i Paesi Ue, specialmente quelli con debito elevato, non abbassino la guardia sulla riduzione della spesa. Nelle raccomandazioni leggiamo che i Paesi devono comunque limitare la crescita della spesa, che deve essere in linea con la crescita di medio periodo e deve puntare alla riduzione del debito, tenendosi pronti a effettuare aggiustamenti in linea con l’evolversi della situazione. In pratica il messaggio è: non vi sanzioneremo, ma state attenti a ciò che fate.



Cosa pensa nel merito delle raccomandazioni della Commissione europea all’Italia? Vengono date le giuste indicazioni per favorire la crescita del Paese in un momento di riconosciuta crisi internazionale?

Non vedo per la verità grandi indicazioni. Si parla di espansione degli investimenti pubblici, specialmente quelli orientati alla transizione digitale ed energetica – anzi si usa il termine “sicurezza energetica”. Qui il riferimento è ai fondi europei del Dispositivo di Ripresa e Resilienza (RRF). Per quanto riguarda le riforme, si mette l’accento sulla riforma fiscale, ribadendo la consueta raccomandazione di ridurre il peso delle imposte sul lavoro. Le risorse fiscali aggiuntive dovrebbero arrivare da una revisione dei trattamenti agevolati (detrazioni dell’imposta sul reddito ma anche aliquote ridotte Iva). C’è un riferimento specifico all’eliminazione dei numerosi sussidi giudicati dannosi per l’ambiente. Documenti redatti anche dal nostro Governo negli anni passati hanno identificato tali sussidi, ad esempio quelli sull’uso di combustibili fossili o sulla zootecnia. Si tratta di interventi in molti casi condivisibili se effettuati nel rispetto di obiettivi di equità, ma dubito che possano essere decisivi per riattivare la crescita. Tra le raccomandazioni c’è infine un riferimento alla revisione degli estimi catastali, con l’implicito suggerimento di aumentare la pressione fiscale sugli immobili, un tema che però a mio avviso dovrebbe essere lasciato alla politica nazionale.



Dunque i timori espressi da certe forze politiche sulla tassazione degli immobili sono fondati?

Ho parlato di suggerimento implicito perché nelle raccomandazioni si parla solo di revisione dei valori immobiliari ormai obsoleti. È vero che nel country report di accompagnamento, redatto dallo staff della Commissione, si menziona la mancata tassazione delle abitazioni di residenza parlando di basi imponibili sottoutilizzate, ma in un altro passaggio si dice anche che le imposte immobiliari italiane sono sopra la media Ue. Mettiamola così: se da una parte è ovvio che per aumentare le imposte sugli immobili si debba disporre di una base dati aggiornata, tale aggiornamento è necessario a prescindere, per ragioni di equità tra contribuenti. Trovo quindi i timori a cui si riferisce fuori luogo: la decisione di aumentare la tassazione sugli immobili è una decisione di politica nazionale, l’Europa non ha ed è giusto che non abbia voce in capitolo. Se una forza politica si oppone a maggiori imposte è giusto che faccia valere la propria posizione in Parlamento e al Governo, ad esempio chiedendo che all’aumento delle rendite si accompagni una riduzione delle aliquote. I velati suggerimenti nei documenti Ue mi sembrano francamente poco rilevanti.

È ormai certo che la Bce alzerà i tassi forse prima e più del previsto. Questo cosa comporta per l’Italia, che ha potuto godere negli ultimi due anni del programma Pepp per vedere calmierato il proprio spread?

Il segno della politica monetaria è cambiato e i tassi di interesse sono già aumentati e sono destinati a crescere ancora, anche perché tenderanno a incorporare l’inflazione. In una situazione del genere non è difficile prevedere che un allentamento del sostegno della Bce possa aumentare gli spread e quindi possa penalizzare in particolare il nostro Paese. Dalle recenti prese di posizione della presidente Lagarde traspare comunque molta cautela, si ribadisce l’obiettivo di inflazione del 2% ma si dice anche che l’azione della Bce sarà improntata a flessibilità e attenzione all’evolversi della situazione. Dunque una posizione non rigida, unita alla convinzione che la spinta inflazionistica sia dovuta alla successione dei recenti shock e sia in buona parte importata, mentre si dice che l’economia europea è tutt’altro che surriscaldata. Dunque normalizzazione della politica monetaria e un prossimo aumento del tasso della Bce, ma senza prevedere azioni troppo energiche che potrebbero danneggiare l’economia reale.

È dalla fine dello scorso anno, quindi prima ancora dello scoppio della guerra, che si parla di uno scostamento di bilancio per cercare di sostenere imprese e famiglie di fronte ai rincari energetici (che nel frattempo non si sono fermati), ma alla fine non lo si è fatto. Eccessiva prudenza del Governo o consapevolezza che i “limiti” europei e dei mercati non lo consentono?

Le scelte di finanza pubblica del Governo italiano si muovono da sempre su un sentiero stretto. La rinuncia a sostenere i prezzi dell’energia potrebbe tuttavia spiegarsi in un’altra ottica: quella di “aiutare” anche con incentivi di prezzo la transizione energetica. Se gli investimenti per la riconversione energetica, gli ecoincentivi per le auto o il 110% sono la carota, i prezzi alti dei carburanti sono il bastone che può spingere tutti quanti a modificare le proprie abitudini di consumo.

L’Italia rischia di dover affrontare una situazione economica peggiore di quella che emergerà dai numeri relativi al Pil, che sarà verosimilmente positivo a fine anno e superiore a quello di alcuni anni precedenti il Covid?

Come sempre il Pil racconta una parte importante della storia, ma non dice tutto. Quello che manca è innanzitutto la dimensione redistributiva, il fatto che conseguenze e difficoltà non ricadono in modo uniforme sulla popolazione. Anche se in media l’economia regge, c’è chi versa in condizioni molto difficili.

Le politiche di austerità sono state veramente accantonate in Europa?

La sospensione delle regole di bilancio è temporanea, la parola chiave è resta quel “temporaneamente” e sul dopo c’è molta incertezza. Certo, a questo punto ci vogliono i paraocchi per non capire che un sistema di regole e automatismi è inadatto a guidare un’economia in un mondo soggetto a shock continui. 

L’arrivo della crisi è ormai riconosciuto da tutti, in Germania si paventa addirittura il rischio di una stagflazione. L’Europa è attrezzata?

Come dicevo, le regole non bastano. Per dirla in una battuta, ci vorrebbe meno governance e più governo, meno pilota automatico e più capacità decisionale. Qui si mostra ancora una volta il limite di un’Unione che, per la sua debolezza sul piano della legittimazione democratica ma anche per le sue dimensioni ed eterogeneità, non è in grado di assumersi la responsabilità di vere e proprie scelte di politica economica. Del resto, siamo ben lontani da una vera unione politica.

Quindi?

È proprio difficile fare previsioni in questo momento. Le difficoltà possono unire ma possono anche dividere. Una direzione potrebbe essere l’idea di ricostruire un nucleo di Paesi più coesi che realizzi qualche forma di cooperazione rafforzata. Ma non escludo nemmeno che il prolungarsi della crisi possa indebolire la coesione e la voglia di integrazione.

(Lorenzo Torrisi)

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