È molto probabile che la Banca centrale europea non ridurrà i tassi di interesse nella riunione del Consiglio direttivo in programma la prossima settimana ed è altrettanto probabile che non lo farà almeno fino a giugno. Almeno stando alle dichiarazioni della Presidente Christine Lagarde, la quale ha spiegato di ritenere importanti i dati sulla dinamica salariale relativi al primo trimestre dell’anno che saranno disponibili solamente a maggio, così da avere ulteriori elementi per valutare il processo di disinflazione in atto. Difficile, quindi, che la Bce muova la leva dei tassi prima che lo faccia la Federal Reserve. Come ricorda Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, all’Eurotower «si guarda molto attentamente a quello che accade negli Stati Uniti, dove ci si attende che la riduzione dei tassi non inizierà prima di giugno. Tuttavia, andrebbe evidenziato un aspetto non secondario».



Quale?

L’importanza del reddito familiare. La Bce vuole essere cauta, ma credo che lo stesso atteggiamento di cautela lo stiano avendo le famiglie nelle loro spese. E questo non aiuta l’economia, a differenza di quanto accade negli Stati Uniti, dove, non a caso, il Pil non registra incrementi da zero virgola.



La Lagarde ha ricordato che il deflusso finanziario netto europeo ammonta a 250 miliardi di euro: capitali che prendono prevalentemente la strada dei mercati statunitensi. Tutto questo nonostante i tassi elevati che ci sono nell’Eurozona.

Data l’elevata mobilità dei capitali esistente, in questo momento si può in effetti scommettere su un investimento negli Stati Uniti senza scontare il rischio cambio. Si tratta certamente di un problema non trascurabile per l’Europa, che ha molte facce. Una riguarda la scelta di investire laddove si vede una dinamica della crescita favorevole, che effettivamente negli Usa esiste. In Europa, invece, con l’eccezione di due o tre Paesi, l’economia arranca. Servirebbero, quindi, degli investimenti, che però non sono favoriti dagli alti livelli dei tassi di interesse.



La Presidente della Bce ha anche evidenziato che servirebbero ingenti risorse per finanziare la transizione green e mantenere l’impegno Nato di una spesa nella difesa pari al 2% del Pil: nel prossimo decennio poco meno di 900 miliardi l’anno in tutta Europa. Dove prenderli visti i vincoli stringenti del Patto di stabilità?

Aggiungo che oltre al Patto di stabilità, in questo momento pesa anche l’assenza di programmi Bce che facilitino il credito o rendano meno pesanti gli oneri per il servizio del debito. Mi sembra che disegnare progetti ambiziosi, che sono necessari, non può essere così slegato dalla disponibilità e dalla capacità del credito. Credo, quindi, che ci sia una certa divergenza tra l’ambizione relativa a obiettivi assolutamente condivisibili e i fatti, le prospettive, le aspettative sul piano del credito.

Non c’è anche un problema di politica fiscale? Ci sono Paesi che hanno spazio per gli investimenti, come la Germania, ma non li sfruttano…

La Germania ha una dinamica economica deludente, con previsioni che Berlino vede persino più basse rispetto a quelle della Commissione europea. Questo trend, ancor più preoccupante se pensiamo alla struttura di innovazione e ricerca che l’ha caratterizzata, dell’economia tedesca, andrebbe contrastato anche per il rilievo che essa ha per la crescita dell’intera Eurozona. Siamo di fronte a un doppio blocco per l’Europa da parte di Berlino, se teniamo anche conto della sua posizione sul deficit e il debito degli altri Paesi.

Occorrerebbe, quindi, che anche la Germania, e non solo la Bce, rivedesse le sue posizioni?

Certo, deve essere un cambiamento che riguarda l’Europa tutta. Come si fa a raggiungere certi obiettivi che ci si prefigge se non si investe? Come si fa a fermare il deflusso finanziario se non si fa in modo che l’Eurozona torni a crescere?

(Lorenzo Torrisi)

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