Siamo troppo grandi per fallire. Questa è la verità, è l’unico scudo – ma fortissimo – che divide l’Italia dal baratro. E la crisi del Covid-19, nel far emergere drammaticamente l’evidenza di quanto vicini siamo al fallimento come Paese, ci dà anche l’unico alibi che il mondo dei ligi – tedeschi, danesi, finlandesi (gli olandesi no, che non sono neanche ligi) – non può contestarci: la pandemia.



Per cui la Banca centrale europea, ieri, si è fatta il segno della croce e si è rassegnata a comprare junk-bonds. Già: salvo miracoli, venerdì S&P declasserà i nostri Btp al livello di junk-bonds, alla luce delle indubitabili previsioni sul profondo rosso del nostro Pil, del nostro deficit e del nostro debito pubblico a fine anno, a causa della recessione e dei sovracosti scatenati dal virus.



E dunque che fare, devono essersi chiesti a Francoforte: lasciar saltare l’Italia e far trascinare nell’abisso tutti i valori espressi in euro, oppure comprare, e comprare, e comprare ancora “carta pubblica” italiana? È questa l’unica prospettiva, pur senza la fiammeggiante premessa draghiana del “whatever it takes”. E la Bce masticando amaro l’ha sposata.

Però attenzione: anche se il tanto debito tutela i debitori – anche a Francoforte hanno imparato la vecchia massima dell’italianissimo Eugenio Cefis – pasti gratis non ce ne sono più, per nessuno, perché mai come in questa fase, anche i ricchi piangono. E dopo aver sfacchinato dieci anni dietro il loro bilancio pubblico ad accumulare attivo, ad abbattere il debito, a risparmiare, tedeschi & Co. troppo contenti di pagare i nostri cocci non sono, come peraltro il Nord sovranista italiano, che ha sempre detto di non voler pagare quelli calabresi o siciliani.



E dunque? Dunque, prima di spingere il nostro malgoverno al punto di indurre il mondo a dimenticarsi “quanto siamo grandi” ed a trattarci come la piccola Grecia, ci sono fasi intermedie su cui non ci faranno più sconti.

Se ci coprono contro la speculazione internazionale, per non venirne a loro volta coinvolti; se ci danno senza condizioni 36 miliardi per la sanità (ironia della sorte, la stessissima somma tagliata in dieci anni al comparto dai nostri pessimi governi); se ci aiutano con il programma Sure e con i fondi strutturali, qualcosa in cambio pretenderanno.

Di più: qualcosa pretenderanno gli elettori italiani, passata ormai la sbornia dell’uno-vale-uno e dell’“onestà-onestà”!

Quindi il governo Conte 2, da domani, non avrà più alibi. Lo storico Gualtieri, distogliendosi per qualche giorno dalle sue letture sul passato, guardi avanti e distilli qualcosa di utile per il “decreto aprile” dal suo soglio di ministro-ombra dell’Economia (sarebbe quello vero, ma si vede e si sente quanto un’ombra). Si accordi con i suoi mandanti del Pd, smussi gli spigoli con i Brancaleone del Movimento 5 Stelle e convinca sé stesso, prima ancora che il premier, di quanto sia importante sburocratizzare gli aiuti, e farli arrivare subito. Non tra un mese la cassa integrazione, tra dieci giorni i primi finanziamenti da 25mila euro e chissà quando gli altri. Quel che serve, subito, a chi ne ha bisogno.

Approfittando, il premier, di stare all’estero – ma no, che non ci sta, purtroppo: i capi di Stato e di governo ormai si incontrano in videoconferenza! – s’informi su quel che sta accadendo in Germania, in Svizzera, ormai anche in Francia: stanno entrando soldi veri nei conti delle imprese in crisi, assegni cospicui nelle tasche dei lavoratori disoccupati. Certo, quelli i soldi nel bilancio pubblico li hanno: ma adesso li avremo anche noi, non nostri ma spendibili come se lo fossero.

Fatti dunque, e basta chiacchiere. Quella potenza di fuoco millantata un mese fa deve diventare almeno una scintilla. E subito.

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