Nel 1964 un giovane studente americano, Mario Savio, sale sul tetto di un’auto parcheggiata nel campus dell’Università di Berkeley per invitare gli studenti a partecipare alle manifestazioni del cosiddetto “free speech movement”. In un ambiente conservatore come quello universitario dei primi anni 60, i giovani chiedevano la possibilità di esprimersi, di discutere, di parlare liberamente.
Poco più di 50 anni dopo, un’altra generazione di giovani studenti universitari americani (ma anche inglesi e più in generale europei) chiedono invece qualcosa all’apparenza di opposto: la creazione di safe spaces e comfort zones dove sentirsi al sicuro da discorsi troppo urtanti, l’apposizione di trigger warning, per essere avvertiti se in un testo, una lezione, un’opera sono presenti argomenti controversi o che possono generare situazioni emotivamente complesse, l’allontanamento di docenti non in linea con alcune linee di pensiero e regole dominanti nel mondo della cultura.
Parte da questa osservazione Francesco Magni per sviluppare il suo ultimo libro dal titolo La libertà di espressione nelle università tra Usa ed Europa. Una prospettiva pedagogica (Studium, 2022), in cui analizza come la libertà di ricerca e di insegnamento (in università, ma anche nelle scuole e in generale nel mondo della cultura) è sempre più a rischio. Con l’obiettivo di evitare il verificarsi di microaggressions (in cui a definire cosa sia una aggressione non è un dato oggettivo, ma un sentimento della persona che si “sente aggredita”) e di stabilire quando e come utilizzare i trigger warnings, verso la fine degli anni 80 le università americane (e via via quelle inglesi, australiane e in alcuni casi anche centro-europee) hanno iniziato a introdurre speech codes nei propri regolamenti interni, atti non solo a sanzionare l’uso di linguaggi discriminatori, violenti o volgari, ma via via a limitare tutte quelle espressioni che possano in qualche modo far sentire qualcuno offeso o anche a proteggerlo da espressioni o idee che non condivide.
Alcune università, in questa ansia regolatoria, hanno quindi introdotto via via anche restrizioni spaziali, delimitando le superfici e individuando certe aree all’interno del campus dove potesse esserci una completa libertà di espressione e dove gli studenti potessero parlare e discutere liberamente. Si ritiene così forse che l’unico modo per proteggere la “diversità” sia quello di proibire certi argomenti e delimitare gli spazi dove questi possano essere liberamente affrontati.
Magni fa notare come la politica americana ha intuito il rischio di questa deriva: il presidente Obama, intervenendo nel 2016 in un campus universitario dove alcuni studenti si erano opposti ad un invito per l’ex segretario di Stato (repubblicana) Condoleezza Rice, ha fortemente criticato questa scelta, spiegando: “se non sei d’accordo con qualcuno, fallo venire e ponigli domande difficili. Costringilo a difendere le sue posizioni, a dare le sue ragioni. Se qualcuno ha una idea cattiva o offensiva provagli che si sbaglia. Ingaggia con lui un dibattito, discutete. Dì a testa alta le tue ragioni e non aver paura di aprire un confronto. Non pensare di dover chiudere le tue orecchie perché sei troppo fragile e qualcuno potrebbe offendere la tua sensibilità. Vai da loro se non capisci le loro motivazioni, usa la tua logica, la tua ragione, le tue parole. E facendo questo, rafforzerai la tua posizione, affinando le tue argomentazioni. E magari, imparerai qualcosa. Realizzerai che non sai tutto. Magari capirai qualcosa di più non solo di quello in cui il tuo oppositore crede, ma anche di quello in cui tu credi. Qualsiasi sia la conclusione, vincerai. E, ancora più importante, la nostra democrazia vincerà”.
Dal lato repubblicano il presidente Trump è intervenuto con un executive order per tutelare e promuovere un dibattito libero e aperto all’interno dei campus universitari e molti governatori, tra i quali spicca Ron De Santis, astro nascente del panorama conservatore americano, stanno intervenendo revocando sussidi pubblici alle università che non garantiscano in maniera adeguata la libertà di pensiero dei propri studenti e docenti.
Considerando che la maggior parte dei docenti, degli intellettuali, ma anche dei gruppi di studenti censurati nei campus americani sono di idee conservatrici e magari sono antiabortisti o scettici verso alcune politiche richieste dalle comunità Lgbtq, questa è una battaglia che negli ultimi anni si sta intestando il partito repubblicano, ottenendo anche grazie a questo alcune importanti vittorie elettorali (Virginia e Florida).
Nella seconda e ultima parte del libro Magni si addentra nel concetto di politically correctess, definito come quella serie di convinzioni e opinioni che delimitano l’ambito di “ciò che si può dire in pubblico senza temere una reazione di raggelante vituperio morale”; fa notare come negli ultimi anni abbiamo poi assistito, all’interno di una operazione di igiene e purificazione del linguaggio, a una vera e propria moltiplicazione di acronimi e perifrasi politicamente corrette. La cancel culture, nota per l’abbattimento di statue storiche (non solo quelle dei generali sudisti, ma anche quelle di Winston Churchill o di Indro Montanelli) e la rivisitazione di festività e ricorrenze (la fine del Columbus Day, festa della scoperta dell’America e dell’orgoglio italoamericano) si è abbattuta sul linguaggio, portando al cambio di nomi a università e squadre di baseball (ad esempio, gli Washington Redskins hanno dovuto cambiare nome in Washington Commanders e l’Università di Princeton ha tolto il nome del presidente Wilson – già rettore dell’ateneo – dalla prestigiosa scuola di scienze politiche a lui intitolata).
Magni osserva che in quest’ansia di revisionismo storico – non di rado contraddistinto da diffusa ignoranza, disprezzo per la conoscenza e violenza collettiva – emerge contemporaneamente un senso di spaesamento, di nichilismo e di relativismo generalizzato: sembra che la questione circa la verità, pur parziale, delle cose non solo non esista più, ma non sia nemmeno più a tema e non interessi più a nessuno. A questa sensazione si accompagna, però, in maniera paradossale, un’affermazione intransigente e senza possibilità di dialogo e mediazione di alcuni “valori” considerati, questi sì, non negoziabili.
Vittima di questa intransigenza è stata per esempio J.K. Rowling, autrice della saga di Harry Potter, donna che si è sempre considerata liberal e sostenitrice dei diritti degli omosessuali, che è stata tacciata di transfobia, fino a ricevere minacce e insulti, per alcuni tweet in cui si domandava se fosse corretto somministrare ormoni che bloccano lo sviluppo sessuale e avviare così percorsi di transizione a bambine che manifestano difficoltà ad affrontare la propria femminilità. La stessa Rowling, con 150 intellettuali del calibro di Noam Chomsky, Francis Fukuyama, Garry Kasparov, ha pubblicato nel luglio 2020 una lettera aperta in cui denunciava il clima di intolleranza presente anche nelle nostre democrazie contemporanee, che indebolisce il libero e fecondo scambio di opinioni e di informazioni.
Benedetto XVI aveva rilevato che la vera minaccia del nostro tempo è che la tolleranza venga abolita in nome della tolleranza stessa: “C’è il pericolo che la ragione, la cosiddetta ragione occidentale, sostenga di avere finalmente riconosciuto ciò che è giusto e avanzi così una pretesa di totalità che è nemica della libertà”, riducendosi così a una ragione positivista che, presentandosi in modo esclusivista, “si ritiene come la sola cultura sufficiente, relegando tutte le altre realtà culturali allo stato di sottoculture”.
In ogni caso, conclude Magni, la prospettiva della sola tolleranza appare angusta e limitata. Occorre la presenza di un altro elemento: quello della verità, intesa non tanto come un traguardo ormai raggiunto e assoluto, ma come insopprimibile tensione all’umana, inesausta ricerca di verità. Non ci possono essere società libere senza che al fondo non sia a tema la verità. E affinché ci siano uomini che amino la verità questi ultimi devono aver avuto occasioni e contesti formativi di crescita personale dove averla potuta coltivare e ricercare, insieme a veri e propri maestri, cioè insieme a testimoni autorevoli.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI