Molte volte ho scritto come il mondo oltre lo schermo sia in gran parte fuori dal controllo dei governi e i big player della tecnologia rappresentino l’ultima e più attuale evoluzione dell’idea di superpotenza. La progressiva diffusione del cloud computing ha reso ancora più evidente, soprattutto in questi tempi di pandemia, come qualsiasi organizzazione del mondo oggi non sarebbe in condizione di operare se venissero meno i servizi che offrono questi operatori.
Se dello stato di cose nel mondo virtuale iniziamo a esserne coscienti, molto meno lo siamo di come le cosiddette big tech stiano progressivamente estendendo il loro campo di azione anche a molte infrastrutture fisiche. Alcune sono strettamente connesse all’offerta dei propri servizi (per esempio, Amazon e Microsoft insieme collezionano oltre 200 datacenter), altre apparentemente meno come i cavi sottomarini sui quali transita una buona metà del traffico internet. A tal proposito, i soliti noti (Google, Apple, Facebook e Amazon) controllano il 90% di questa infrastruttura in coabitazione con le società di telecomunicazioni europee.
Il costante ampliamento del raggio di azione di questi operatori fa pensare che vogliano affrancarsi da qualsiasi forma di dipendenza (fornitori) e forse anche di controllo (governi). Se questa tendenza rappresenti una potenziale fonte di rischio è difficile dire, ma quello che spaventa è la straordinaria concentrazione nel settore dell’ICT che mette nelle mani di una manciata di operatori l’intero controllo della società dell’informazione.
In effetti, se distogliamo lo sguardo dai “soliti noti”, scopriamo che le tecnologie infrastrutturali per le telecomunicazioni sono in mano a Huawei, Cisco, Zte Ericsson e Nokia, che di fatto controllano il 75% del mercato. La loro importanza strategica è connessa all’avvento della rete mobile 5G che se manterrà le sue promesse in termini di ampiezza di banda e bassi tempi di latenza soppianterà tutte le altre modalità di connessione. Un terzo gruppo di operatori significativi è quello dei produttori di microprocessori con le statunitensi Intel e AMD che si spartiscono il 100% del mercato di quelli per PC e server, mentre il segmento di quelli per smartphone è ripartito tra Qualcomm, Apple, MediaTek, Samsung e Huawei.
Insomma, il “digitale” è nelle mani di sole sedici organizzazioni e qualcuno potrebbe pensare che siano un po’ pochine per avere il controllo di un mondo intero.
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