È la rotta della tragedia di Cutro, quella che parte dalla Turchia e lungo la quale sono morte oltre 70 persone che cercavano di approdare in Italia nella zona di Crotone. Una rotta che negli ultimi mesi ha visto intensificare i viaggi verso il mare dopo che la rotta via terra dei Balcani è diventata via via più difficile in seguito a una stretta sui passaggi da parte di tutti i Paesi della zona.
È cambiato il percorso seguito dai migranti e, come spiega Alberto Aziani, del Centro di ricerca Transcrime dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, è cambiata l’organizzazione dei viaggi. A sfruttare la speranza dei migranti ora, in Turchia, ci sono, verosimilmente, gruppi turchi con collegamenti nei Paesi di origine dei migranti. Da lì passano soprattutto siriani, afghani e pakistani.
Come è nata la rotta turca via mare e chi gestisce il traffico dei migranti in questa nuova direttrice? E la Turchia esercita i controlli per cui è pagata dall’Unione europea?
La situazione sulla gestione delle partenze da parte della Turchia è stata meno investigata a livello scientifico rispetto alla Libia. La rotta che passa dalla Turchia, che ha una posizione geografica di connessione tra l’Asia e l’Europa, di per sé è sempre esistita, anche via mare, ma inizialmente in misura minore rispetto ad ora. La pressione su questa rotta tende ad aumentare se ci sono situazioni nei Paesi di origine dei migranti che portano le persone ad andarsene. In questo momento si tratta soprattutto di siriani, afghani e pakistani. Questi sono i Paesi principali, ma arrivano anche da altre nazioni tipo il Bangladesh. L’abbandono dell’Afghanistan da parte degli americani ha influito, così come il fatto che prosegua il conflitto in Siria fa sì che anche da lì continui a partire gente.
Come è cambiata la rotta?
Prima si sfogava soprattutto via terra, con il passaggio per i Balcani occidentali: dalla Turchia il passaggio in Bulgaria e da lì o verso i Balcani centrali oppure in Grecia e poi verso la costa. Nel 2016 viene stipulato dall’Unione Europea con la Turchia, a fronte di ingentissimi finanziamenti, un accordo di chiusura del flusso migratorio verso l’Europa. Vengono aumentati i controlli, vengono costruite delle infrastrutture fisiche di contenimento, per cercare di chiudere i varchi, barriere per ostacolare l’attraversamento a piedi. Questo porta a una trasformazione del flusso in termini organizzativi. Servono maggiori competenze per chi facilita la migrazione clandestina per aggirare questo sistema di controlli.
La rotta balcanica via terra è diventata più ostica anche per altri motivi?
Direi una maggiore avversione all’attraversamento da parte dei migranti da parte dei Paesi balcanici. Per il migrante che arriva dall’Asia attraverso la Turchia il problema non diventa più soltanto eludere i controlli turchi: il passaggio via terra nei Balcani diventa più problematico, più lento, più rischioso.
Controllano di più anche i Paesi balcanici, quindi?
Sì, c’è maggiore attenzione, maggiore aggressività nel controllo. Questo riduce la possibilità di passare. E quindi rende più fattibile, più “conveniente” passare via mare. Per il migrante, ma anche per tutti i flussi legali o illegali, l’attraversamento del confine è sempre complesso. Si cercano passaggi in zone poco controllate, però il passaggio del confine è un momento di rischio perché gli Stati controllano. E più ci si allontana dalle rotte e dalle strade principali, più i controlli diminuiscono, ma diventa più complesso, più pericoloso lo spostamento.
Insomma, si cerca una soluzione nella rotta via mare.
Sì, a causa di maggiori controlli via terra ma anche della costante pressione del flusso migratorio dall’Asia verso la Turchia e l’Europa.
In Libia ci sono milizie che controllano gli sbarchi perché controllano il territorio da cui partono le barche. In Turchia cosa succede?
La Turchia è uno Stato forte, un Governo centrale che tende ad avere un controllo del territorio altrettanto forte soprattutto nella parte occidentale del Paese, quindi sulla costa mediterranea, meno nella parte verso il Kurdistan e l’Est del Paese. Sulle coste quindi non si verifica lo stesso fenomeno riscontrato in Libia.
Chi gestisce allora il passaggio dei migranti?
In precedenza, fino al 2016 e anche subito dopo, sembrava che gli individui coinvolti e attivi nello spostamento dei migranti, anche via mare, in Turchia tendessero a essere soprattutto singoli, persone che attivavano una rete, con dei contatti ma senza strutture o network stabili. Spesso persone che a loro volta si erano spostate lungo quella rotta anni prima, magari siriani che avevano sviluppato una serie di contatti, si erano stabiliti, e mettevano a disposizione la loro rete, ed eventualmente i loro mezzi di trasporto, in cambio di denaro, talvolta anche solo per spirito di aiuto nei confronti di connazionali o persone provenienti da situazioni terribili.
Ma adesso ci sono i barconi anche lì.
Più recentemente, il tipo di immigrazione che vediamo oggi, con i barconi stracarichi di gente, ci suggerisce che su anche questa rotta sono attivi altri soggetti, che ci sia maggiore eterogeneità, anche con organizzazioni un po’ più strutturate che sono in grado di raccogliere le richieste dei migranti, aggregarle, e mettere a disposizione queste imbarcazioni.
Di queste organizzazioni cosa sappiamo adesso?
Non molto. Verosimilmente sono turche, ma su questo non ho presente studi che abbiano dettagliato o siano andati a investigare la natura delle organizzazioni attive adesso in Turchia. Quello che si può desumere è che siano più strutturate rispetto al passato, e che abbiano comunque contatti con soggetti dei Paesi di provenienza principale dei migranti. La creazione di un gruppo passa molto dal passaparola e c’è una maggiore fiducia nella parola del connazionale.
Rispetto agli scafisti invece cosa si sa?
Molto spesso lo scafista, colui che guida o timona un’imbarcazione ha legami molto scarsi con l’organizzazione che ha messo in piedi quel flusso. Potrebbe essere una persona che ha avuto uno sconto sul viaggio, alla quale è stata data la responsabilità del timone e la guida durante il viaggio stesso, quando magari i membri dell’organizzazione si sono allontanati dalla barca. A volte è successo che fosse un migrante, che magari ha delle competenze nautiche, sa fin dall’inizio che deve portare l’imbarcazione e lo fa in cambio di uno sconto sul costo. Questo soprattutto nelle imbarcazioni come quella che è naufragata a Cutro.
Ci sono altri tipi di viaggi?
Su viaggi più costosi, su barche a vela da diporto o piccoli yacht dove il costo per i migranti è maggiore questo non avviene: il controllo della barca viene mantenuto da un equipaggio che poi punta a portarla anche indietro.
Un viaggio quanto può costare?
Ci sono diversi studi su questo, il range è molto ampio, da 1.500 fino a quasi 10mila euro, a seconda delle modalità di viaggio, dell’urgenza della partenza, del livello di sicurezza. Queste sono cifre che però si riferiscono all’ultimo attraversamento via mare, tutta la rotta al migrante più essere costata molto di più. Talvolta sono persone che partono da lontanissimo. I viaggi spesso durano molto tempo perché il migrante fa un tratto, spende i soldi che aveva accumulato a casa o che gli aveva passato la sua famiglia, si trova a lavorare, cerca di accumulare soldi o di lavorare per coloro che lo aiuteranno a spostarsi. Quando ha accumulato abbastanza risorse fa il passaggio successivo.
Ma la Turchia sta effettuando controlli nei punti di partenza della rotta marina?
Di facciata tutti i Governi che prendono soldi dicono che controllano tutto. È chiaro che gli si mette in mano un potere politico abbastanza forte perché possono allentare i controlli e mettere pressione sulla controparte che li sta pagando.
I turchi adesso poi hanno da pensare soprattutto alla situazione post terremoto.
Possono essere concentrati su altro o possono usare questa leva per ricevere ulteriori finanziamenti. Dicono: “I soldi che ci date non ci bastano per fermare i migranti”. L’Unione Europea sta utilizzando l’agenzia Frontex anche su questa rotta, anche se si è notato che qui è più difficile operare con i soccorsi, anche con le navi delle Ong.
(Paolo Rossetti)
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