Undici persone sono state arrestate dai Carabinieri forestali con l’accusa di traffico illecito di rifiuti. Lo rende noto Repubblica.it che spiega come il giro illegale si svolgesse tra il Nord ed il Sud dell’Italia. Secondo le accuse, gli indagati riempivano capannoni abbandonati nel nord Italia di rifiuti per poi seppellirne altri al sud, precisamente in una cava dismessa in Calabria. Le persone arrestate sarebbero connesse al medesimo traffico illecito emerso dopo il rogo a Corteolona, in provincia di Pavia. I militari sono intervenuti questa mattina dopo un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip di Milano, agendo nelle città di Milano, Lodi, Pavia, Torino, Napoli, Reggio Calabria e Catanzaro. Le indagini condotte dalla DDA del capoluogo lombardo, rappresentano la naturale prosecuzione dell’operazione Fire Starter che nell’ottobre dello scorso anno aveva già portato all’arresto di sei persone ritenute in qualche modo responsabili del rogo del capannone di Corteolona. Nella nota dei carabinieri si precisa che le stesse indagini “hanno permesso di evidenziare dinamiche di più ampia portata individuando un’organizzazione criminale, capeggiata da soggetti di origine calabrese, tutti con numerosi precedenti penali”.



TRAFFICO ILLECITO DI RIFIUTI: USATA CAVA DISMESSA A LAMEZIA TERME

Sempre secondo le indagini, gli indagati avrebbero sfruttato una struttura composta da impianti “autorizzati e complici” ma anche “trasportatori compiacenti, società fittizie intestate a prestanome e documentazione falsa”, gestendo in tal modo un grosso traffico di rifiuti urbani ed industriali provenienti da impianti presenti in Campania e che andavano a finire in capannoni abbandonati nel Nord o interrati in Calabria. Gli inquirenti, tramite il monitoraggio attraverso gps dei camion e i pedinamenti a distanza sono riusciti a mostrare l’interramento di un carico di 25 tonnellate di rifiuti presso una cava dismessa di Lamezia Terme. Lo riferisce Lamentino.it che rivela come il reato sia stato interrotto in flagranza. I rifiuti in questione provenivano da impianti dell’hinterland napoletano intermediati da una società di Acerra che si occupava di individuare destinazioni solo apparentemente lecite a rifiuti che non venivano tuttavia trattati come dovuto.

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