IL TRAFFICO DI ORGANI È UN PROBLEMA PRIMA ETICO CHE GIURIDICO: PARLA IL MEMBRO DEL COMITATO DI BIOETICA
Il dramma del traffico di organi è purtroppo un tema ancora molto contemporaneo, nonostante gli sforzi legislativi e giuridici di questi ultimi decenni: come ha scritto sul “Dubbio” il componente del Comitato Nazionale di Bioetica professore Lorenzo d’Avack, serve ancora oggi interrogarsi e confrontarsi per poter «salvaguardare il corpo dal mercato e dagli abusi anche dopo la morte». Secondo l’eminente docente di Filosofia del diritto e Biodiritto, al netto delle legislazioni carenti, il problema è la sottovalutazione del problema etico rispetto alle pur giuste rivendicazioni giuridiche.
Solo nel settembre 2022 gli studi in Italia davano un business da circa 1,7 miliardi di dollari nel traffico di organi sul dark web verso il nostro Paese: bambini, migranti, persone morte, ma purtroppo anche feti abortiti, le “fonti” più “usate” per l’illecito e indegno traffico di organi. Ebbene, secondo il membro del CNB la questione tutt’altro che risolta in Italia e anche in Europa è capire «quale fondamento giuridico dare alla disposizione e all’appropriazione dei prodotti del corpo umano attraverso l’intermediario medico o scientifico». Tradotto, il tema è capire che valore può avere davvero un “corpo” (e dunque le sue parti) rispetto alla ricerca scientifica, il “dono” per salvare altri corpi e, purtroppo, anche l’abuso illecito con la tratta degli organi.
PROF. D’AVACK (COM. BIOETICA NAZIONALE) SULLE LEGGI IN ITALIA E UE: “INTRODURRE FATTISPECIE PENALI”
Come ricorda ancora d’Avack sul “Dubbio”, in Italia è possibile utilizzare i corpi con l’uso di organi per finalità di «studio, ricerca e formazione», con però dei limiti imposti della Corte Costituzionale: la «non patrimonialità e la non commerciabilità del corpo» sono due dei criteri fissati anche dal Comitato Nazionale per la Bioetica nel 2013, ma vengono oggi contestate sempre più da contro-argomentazioni «dai bioeticisti di tendenza liberal-utilitarista, basate su aspetti non solo pragmatici, ma anche teorici».
In sostanza, per la cultura progressista e lontana dalle origini laico-cristiane dell’Europa – chiarisce ancora il membro del Comitato di Bioetica – «È attraverso un rapporto proprietario, volontaristico, senza limiti con il proprio corpo, che si supera l’idea della sua integrità e disponibilità». Il fatto che un corpo non sia sempre disponibile in ogni modo, anche dopo la morte, viene visto come un ostacolo al progresso e allo sviluppo futuro della realtà, compresi i progetti biotecnologici che puntano a utilizzare parti del corpo per finalità i ricerca o di terapia. Importante è poi il tema del dono, che grazie al cristianesimo è considerato un fatto morale solo quando del tutto disinteressato: come spiega invece d’Avack, la “laicizzazione” del dono ha portato a scambiarlo con la solidarietà, con la “buona azione” dimenticando però così il senso e il valore dell’essere “corporeo”, della persona.
Certo, conclude nella sua analisi il prof. d’Avack, resta per tutte le culture occidentali – da quelle più religiose a quelle più spasmodicamente progressiste – un’oscenità la tratta degli organi e lo sfruttamento con abuso che ne viene fatto: in questo senso dunque servono sempre più fattispecie penali che mirino a «definire il traffico di organi, a prevenirlo, a fare rispettare il principio che il corpo umano e le sue parti sono realmente fuori dal commercio». Ma è il presupposto etico che ha di fatto generato il lassismo di base nel quale ha proliferato la criminalità organizzata: con amarezza, il membro del CNB richiama «Come altri Paesi europei, anche l’Italia, sebbene regolamenti diverse fattispecie relative al trapianto di organi, presenta un ridotto apparato sanzionatorio in merito al traffico clandestino degli organi».