La tragedia della Meloria è un tragico fatto di cronaca avvenuto quasi 40 anni fa, precisamente nel 1971, e che ha visto la morte di ben 46 paracadutisti dopo che l’aereo su cui viaggiavano, l’Hercules della Royal Force, si inabissò al largo della costa di Livorno. A ItaliaSì sono intervenute in collegamento Giusi e Caterina, le sorelle di uno dei paracadutisti della Folgore periti nell’incidente, leggasi Giuseppe Iannì. A loro lo Stato ha riconosciuto un indennizzo da 200mila euro a testa, ma adesso lo stesso Stato rivuole indietro i soldi ritenendo che Giuseppe non viveva assieme alle due sorelle. Un cavillo burocratico che ha gettato nello sconforto le sorelle delle vittime, non tanto per una questione economica, quanto per un aspetto morale. “Sono morti tutti nello stesso istante – le parole di Giusi a Rai Uno -e con le stesse modalità, ciò che ferisce di più è stato il trattamento diverso che hanno avuto i parenti le vittime. Molte sono stati riconosciute in primo grado, mentre la nostra famiglia è arrivata fino alla Cassazione: vuol dire che la morte non è uguale per tutti”.



TRAGEDIA DELLA MELORIA, LE SORELLE: “NON CI SIAMO FIDATE”

Noi ci siamo fidate dell’iter giudiziario – ha proseguito la sorella del paracadutista – e per un banale errore ci siamo ritrovati ad essere non più conviventi di Giuseppe, venendo trattate come se avessimo presentato documenti falsi dopo la morte. Mia mamma si è ammalata dopo la sua morte, abbiamo avuto dei problemi e quell’indennizzo era una carezza che lo stato ci aveva concesso per averci resi orfani di una parte della famiglia: richiedendoci queste somme indietro ha reso lui orfani delle sua famiglia”. Dura anche Caterina, l’altra sorella di Giuseppe: “Ho già scritto una lettera al presidente della repubblica, abbiamo scritto ai ministri, ma ho ricevuto una risposta che mi è sembrata un’offesa, l’ho presa molto male. Credo che l’entourage del presidente non l’abbia a lui sottoposta. Se hanno a cuore la sorte di un figlio dello stato, hanno la possibilità di sciogliere questa matassa”. E se veramente verranno condannate a risarcire i 200mila euro: “Sarebbe il sigillo ad una grande bugia, chiederemo che il nome di nostro fratello venga tolto da ogni cerimonia, dalla stele, restituiremo la bandiera, la cassa, pagheremo i danni e il funerale di stato. Lo devo a mio padre – conclude – papà è morto disperato e arrabbiato, anche a costo di finire in carcere”.

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