Ci sono luoghi che, per un curioso intreccio di congiunture e accidenti, diventano elettivi d’arte. La storia lascia le impronte e noi contemporanei abbiamo la fortuna di mappe e tracce attraverso le quali poter sognare mondi migliori. Mantova, per esempio, che da cinquecento anni conferma la propria vocazione al richiamo di talenti musicali dal mondo. E così, come piccoli Dante col fiatone, impauriti della selva oscura a targa Covid, che al solo nominarlo impallidiamo, possiamo per cinque giorni (dal 29 maggio al 2 giugno) tornare ad essere protagonisti mondiali della musica in formato maiuscolo. Si chiama “Trame sonore” e trasformerà quel gioiello lombardo in una gigantesca Woodstock della musica da camera, un festival collettore di altri festival sparsi nel mondo, chiusi per il virus nei loro paesi ed esportati felicemente nella città di Virgilio. Eh già, la storia, quando si dice “il filo rosso”: e alla storia politica serve tornare.



A metà del ‘500, Mantova ebbe come duca Guglielmo, sopravvissuto alle cronache come “Signore della musica”. Come suo padre Federico prima e suo figlio Vincenzo poi, Guglielmo capì che una delle chiavi per esercitare con intelligenza il potere era trasformare la propria corte in un collettivo dei musicisti più forti su piazza, che insegnassero, componessero e suonassero. Pagare la musica era, insomma, considerato coessenziale alla gestione di un potere che si auspicava duraturo (e lo fu). Mica fu solo: Parma, per dire, a pochi chilometri faceva lo stesso e non furono poche le ripicche, gli sgambetti e le astuzie bilaterali per diventare jet set delle migliori star del momento. Guglielmo aveva anche un ambasciatore, tal Zibramonti, che faceva la spola e il talent scout in incognito in Emilia per metter sotto contratto castrati, tenori, cembalisti da pagare, mutatis mutandis, come oggi Ronaldo, Ibra o Messi.



E cosa c’entra tutto questo con l’happening mondiale di Trame sonore? Il filo è la vertigine e la speranza, due dei movimenti che hanno portato avanti il mondo. La vertigine impone di capire come la percezione del ruolo della musica e dell’arte nella politica è cambiata fino a diventare il suo contrario, a quell’inespresso ma reale: i musicisti? Dategli delle brioches! Possiamo immaginarci, nella nostra vecchissima Europa, un Draghi o un Macron, una Merkel o un Sànchez sbracciarsi e investire gran danaro pur di avere il meglio degli artisti presso di sé? La speranza, invece, è data da una comunità mondiale che fa rete intorno all’interesse preminente per la promozione della musica. Se la vertigine si coniugasse con la speranza, probabilmente, si avrebbero politiche culturali più eque. E quello che accadrà a Mantova sarà esattamente un fatto di significato politico, oltre che musicale.



Ci saranno come Artists in Residence, Alfred Brendel (per molti, il musicista classico più influente dell’ultimo secolo) e Alexandre Lonquich; ci saranno anche 12 violini solisti, 20 pianisti, 20 ensamble cameristici, 5 violoncelli solisti, 5 viole soliste, 15 voci, 20 fiati, 4 organisti, 8 musicologi per allestire workshop, suonare in ogni angolo della città, discutere e riflettere sullo stato dell’arte e sul futuro della musica, come opportunità di lavoro e dialogo trangenerazionale tra artisti giovani e talenti affermati. Un programma talmente ampio che non si può che rimandare alla sua consultazione sul web (www.oficinaocm.com/trame-sonore) .

E allora diventa fondamentale parlare di questo Festival dei Festival perché, dopo il tempus horribile del virus, i musicisti tornano ad essere una comunità osmotica per confrontarsi anche sulle proiezioni civili di questo mestiere bello e disgraziato. Con lo slogan “il talento non sceglie dove nascere”, per dire, si svolgerà a Mantova il festival Illumina di San Paolo del Brasile, che annualmente ha come teatro una grande fazenda alle porte della città e raccoglie giovani talenti di bassa estrazione, che, al termine di un seminario con maestri di calibro, si esibiscono in un progetto dal titolo: “Equal music: it’s time for music to be more equal”.

Se, come è stato detto, l’orchestra è una sorta di “società ideale”, Mantova fornirà la migliore delle geografie possibili dove insediarsi. E il futuro pensabile non è mai stato così possibile.