Hanno preso il via in questi giorni gli incontri tra istituzioni, associazioni datoriali e sindacati, insieme a Stellantis, per esaminare la situazione degli stabilimenti del gruppo nel nostro Paese. Oggi sarà il turno di Mirafori, che la scorsa settimana è stato interessato anche da un accordo tra azienda e sindacati (esclusa la Fiom-Cgil) per l’uscita incentivata, su base volontaria, di circa 1.500 lavoratori. Un’iniziativa che, insieme a quelle analoghe riguardanti gli impianti di Cassino e Pratola Serra, è stata attuata per affrontare gli effetti del processo di transizione energetica e tecnologica in corso che sta interessando il settore automotive in tutti i suoi aspetti, compresi quelli occupazionali, e che offre uno spunto di riflessione su questo passaggio epocale che abbiamo approfondito insieme a Giulio Sapelli, Professore emerito di Storia economica alla Statale di Milano.



Professore, non pensa che per promuovere questa importante transizione, che interessa anche l’automotive, sia necessario un approccio non ideologico da parte di tutti gli attori in campo, a cominciare dalle istituzioni?

Sì, finora a caratterizzare questo tentativo di transizione è l’ideologia. Lo si vede, purtroppo, non solo dall’ipotesi che ha assunto anche valore normativo nelle regole europee che impongono che questo passaggio possa essere realizzato in poco più di un decennio. È la storia, infatti, a dirci che certe rivoluzioni, come il passaggio dal trasporto a cavalli a quello con motore termico, non si sono realizzate fissando a priori un tempo massimo per essere completate.



Da cos’altro si nota l’approccio ideologico di questa transizione?

Dalla mancanza di quelle che definirei le reti di sostegno alla transizione. Per tornare all’esempio del passaggio dal trasporto a cavalli a quello con le automobili, esso non ha riguardato solamente lo sviluppo della tecnologia dei motori, ma ha dovuto pensare alla creazione delle stazioni di servizio, a una trasformazione di quelle che erano le stazioni di sosta per i viaggiatori. C’è voluto, cioè, tutto un insieme di reti di sostegno socio-tecnologiche che invece nella transizione verso l’auto elettrica mancano e non possono essere inverate con un colpo di ingegno ideologico.



È stato, quindi, un errore da parte delle istituzioni comunitarie europee fissare un obiettivo senza fornire alle imprese strumenti e investimenti necessari a raggiungerlo?

Si denota un procedimento che ricorda quelli del Gosplan, che stabiliva gli obiettivi di produzione senza preoccuparsi di come dovessero essere raggiunti. È un po’ triste che la politica che riguarda milioni di lavoratori e di consumatori in Europa venga decisa con un approccio di tipo neo-sovietico. Con il rischio, inoltre, di non avere le risorse prime necessarie per le batterie elettriche, visto che su di esse c’è un quasi monopolio cinese. Purtroppo l’azione comunitaria non è aiutata da quella nazionale, dato che sembra prevalere una politica populistico-demagogica sul tema.

C’è, a suo avviso, una modalità per cui il processo di transizione non veda imprese e istituzioni opposte tra loro, ma venga gestito in modo condiviso? Cosa dovrebbero fare il Governo da un lato e Stellantis dall’altro per non alimentare il conflitto e non procrastinare azioni concrete? 

Credo sia stata giusta l’idea del ministro delle Imprese e del Made in Italy di dar vita al Tavolo Automotive, ma occorre che sia reso permanente, unico, senza distinzioni tra i vari stabilimenti, e concorra a dar vita a un piano complessivo sull’auto. Attenzione, non intendo un piano dirigistico, ma concordato con Stellantis e le imprese dell’indotto già presenti o che si prevede saranno necessarie per dar vita a quella rete di sostegno tecnologico-sociale di cui parlavo prima, che comporta anche azioni di formazione dei lavoratori, politiche di sostegno nei periodi di non occupazione, ecc. Si tratta di necessarie riflessioni concordate che finora mancano.

Il Ministro Urso ha rivelato che è stato avviato un dialogo con produttori stranieri per aprire nuovi stabilimenti in Italia. È una mossa opportuna se ancora non sembra esserci una forte domanda di mercato per l’auto elettrica?

Questo è un punto cruciale, perché oggi le auto elettriche appaiono più uno status symbol che non un prodotto di massa. Queste vetture oggi possono essere acquistate dalle classi più agiate, che non possono, tuttavia, nemmeno farne un uso completamente sostitutivo delle tradizionali auto a motore termico, in quanto le colonnine di ricarica sono ancora insufficienti. Come dicevo prima, le reti di sostegno alla transizione sono lacunose. Prima di invocare altri produttori quando abbiamo risultanze di questo tipo credo che sarebbe meglio cercare di far funzionare gli stabilimenti che ci sono nel nostro Paese.

Non sbaglia, quindi, l’Amministratore delegato di Stellantis Carlos Tavares quando dichiara che produrre un milione di auto in Italia è possibile, ma il problema è trovare nuovi consumatori…

Se gli italiani non possono comprarsi l’auto elettrica che senso avrebbe aumentare la produzione? Chiederlo senza tenerne conto sarebbe segno di mancanza di politica economica e industriale: al suo posto vi sarebbe una politica illusionistica da prestidigitatore a cui i rappresentanti delle istituzioni e del mondo politico farebbero bene a non prestarsi.

Intanto vi sono anche aree dove non si parla di bando del motore endotermico, come il Nord Africa, dove si sta sviluppando un indotto anche attorno agli stabilimenti di Stellantis.

In quei Paesi c’è un gruppo di classi dirigenti più evolute di quelle europee, che sanno quelli che sono i limiti di spesa dei loro popoli e di infrastrutturazione. Inoltre, sanno meglio di noi quanto sia pericoloso affidarsi alle mani dei cinesi per le materie prime legate all’auto elettrica.

Pensa sarebbe possibile creare, oltre ai posti di lavoro, cooperazione e sviluppo in quei Paesi, un po’ come faceva Mattei?

L’idea di Mattei era quella di dar vita a impianti di estrazione di gas e petrolio e di creare reti industriali, infrastrutturali e anche sociali nei Paesi produttori. Ancora ce ne sono tracce e penso che di questi piani dal basso ce ne sarebbe sicuramente anche oggi bisogno, senza però pensare di attribuirgli nomi particolari o evocativi.

Operazioni di questo tipo potrebbero, però, essere integrate nel Piano Mattei messo a punto dal Governo per accrescere anche il ruolo geopolitico dell’Italia?

Certamente, sarebbero operazioni esemplificative di quello che Mattei intendeva creare: lavoro, costruzione di imprese che mirano a rendersi autosufficienti e autosostenute dal profitto capitalistico distribuendo reddito. Non va poi trascurato l’indotto sanitario e sociale di cui le imprese di Mattei si facevano carico. Non si ricorda mai abbastanza che in Africa oggi, grazie al neoliberismo, bisogna pagarsi anche le scuole elementari. Penso che Stellantis possa essere protagonista di questo tipo di operazioni, anche nel solco dell’eredità di Fiat: Agnelli e Valletta erano attenti a questi temi sociali.

(Lorenzo Torrisi)

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