È un fatto culturale, ha tagliato corto il presidente di Cotec Luigi Nicolais al sedicesimo simposio delle fondazioni d’Italia, Spagna e Portogallo tenutosi a Palermo alla presenza dei rispettivi capi di Stato Sergio Mattarella, re Felipe VI e Marcelo Rebelo de Sousa. È un fatto culturale, hanno convenuto tutti gli altri partecipanti, tra i quali il commissario europeo per gli Affari economici Paolo Gentiloni, il Presidente d’Intesa Sanpaolo Gian Maria Gros-Pietro e l’Amministratore delegato di Cassa depositi e prestiti Dario Scannapieco.
E in realtà la sfida è riuscire a calare nella società, tra le imprese e le famiglie, la conoscenza allargata e il conseguente rispetto dei principi di sostenibilità, inclusione, innovazione in tutti i campi di attività compresa la finanza alle cui dinamiche è stato dedicato in particolare l’ultimo appuntamento. Sì, perché certi concetti maturati in seno alle élite politiche ed economiche del Paese e dell’Unione europea hanno bisogno del consenso più ampio possibile per poter vivere davvero e diventare prassi colmando la distanza dalla teoria.
È molto importante che intorno a questi temi destinati a diventare dominanti negli anni a venire si consolidi una forte consapevolezza per evitare che derive potenzialmente devianti s’impossessino della scena distraendo dalla reale portata dei fenomeni. Affrontare la doppia transizione che abbiamo davanti – ambientale e digitale – non è solo una questione di soldi. Per avere successo c’è bisogno di comportamenti condivisi informati e responsabili. Questo è il compito dei Cotec, compito talmente sensibile da beneficiare del coinvolgimento delle massime cariche istituzionali.
Il tema è come applicare alla vita di tutti i giorni i precetti e le buone pratiche che ricaviamo dalle parole degli esperti nei convegni e nei più disparati consessi. Come fare, cioè, a creare le condizioni perché la grande opportunità offerta dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, figlio del Next Generation Eu, sia colta al meglio possibile e non vada dispersa assieme ai tanti fondi messi a disposizione dei Governi, alcuni in via gratuita e altri da restituire almeno per quanto riguarda il nostro caso nazionale.
Anche perché, ed è emerso con chiarezza al convegno confermando quanto già appariva logico, per riuscire nella rivoluzione che ci attende sarà necessario sommare ai capitali pubblici quelli privati in una misura mai conosciuta prima. Le trasformazioni che dobbiamo operare per rendere il pianeta e la nostra porzione di terra più vivibili sono così profonde da richiedere l’impiego di risorse enormi. Gli investimenti dovranno viaggiare alla dimensione di 500 miliardi l’anno, è stato specificato, e chi si ferma potrebbe perdersi.
Ecco il motivo di tanta enfasi, tanta insistenza, tanta convergenza d’attenzione e d’interessi. È una partita, questa, che dovrà coinvolgere le menti e i cuori delle nostre comunità perché si potrà vincere solo se giocata da tutti gli attori con lo stesso impegno. Per preparare un mondo migliore alle future generazioni e fronteggiare minacce che vanno dalle conseguenze del cambiamento climatico all’allargarsi delle disuguaglianze e dell’area del disagio occorre predisporre la via a un nuovo paradigma economico che metta al centro le persone e le loro aspirazioni a una vita felice.
Ciò che è davvero difficile da raggiungere è la piena coscienza da parte di chi oggi subisce leggi e provvedimenti, i cittadini nelle loro diverse organizzazioni e articolazioni, dei vantaggi derivanti da cambiamenti che oggi sono vissuti come lontani – lunari – se non addirittura dannosi come accade nel racconto di certe filiere industriali dove si intravede il doppio rischio dello spiazzamento tecnologico e del calo dei posti di lavoro. Per dissipare ogni dubbio, l’innovazione dovrà sprigionare tutta la sua forza creativa.
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