La transizione climatica che ci viene predicata di continuo ci porterà davvero dei vantaggi? Perchè se da un lato la corsa al green dovrebbe salvare l’ambiente e garantirci una qualità di vita migliore in termini di sostenibilità, l’altro risvolto della medaglia potrebbe non essere così roseo. La Verità al riguardo riporta uno studio, commissionato da Parigi, che svela il drastico impatto che la transizione climatica avrà sul fronte economico e fiscale.
Il rapporto dal titolo ‘Le implicazioni economiche dell’azione per il clima‘, pubblicato nel novembre del 2023, e taciuto dai media, è stato preparato con il contributo di circa 100 esperti provenienti da enti governativi, istituti economici e comunità accademica francese. Il lavoro si è svolto nel nuovo contesto istituzionale risultante dalla creazione del Segretariato generale per la pianificazione ecologica (Sgpe). Allegati al rapporto di sintesi (un documento di 160 pagine) vi sono undici rapporti tematici. Lo studio non entra nel merito dell’efficacia delle politiche UE contro il cambiamento climatico, ma dà una visione realistica dell’impatto che questi ‘diktat’ avranno sul benessere economico e sul debito pubblico.
TRANSIZIONE CLIMATICA: LA RIVOLUZIONE NASCOSTA
Parola d’ordine sobrietà. Ci troveremo sempre più di fronte a leggi austerità e ad una sostituzione inefficiente del capitale col passaggio dal fossile al green. Questo è quanto rivela lo studio. Infatti l’abbandono dei combustibili fossili si tradurrà in un temporaneo rallentamento della produttività, stimato in un quarto di punto percentuale all’anno. Ciò è dovuto al riorientamento degli investimenti verso la riduzione della dipendenza dai combustibili fossili piuttosto che verso l’espansione della capacità produttiva o l’aumento della sua efficienza. Di fatto, si tratta di una ristrutturazione inefficiente dal punto di vista del capitale. Per questo serve il denaro pubblico.
Inoltre dall’analisi emerge che nel 2030, a causa delle politiche per la transizione, il debito pubblico sarà più alto di 9 punti percentuali, di cui 6 attribuibili a ulteriori spese in conto capitale e poco più di 1 punto percentuale alle perdite di entrate causate da un rallentamento dell’economia, cioè da una crescita inferiore. Negli anni entrambe queste percentuali saliranno, e al 2040 si potrebbe andare incontro a un rapporto debito/Pil cresciuto del 25%, di cui 13% per spese in conto capitale e 7% per minori entrate. Questo nell’ipotesi che le minori entrate da accise sui combustibili fossili siano comunque compensate da nuove tasse.
GREEN E DISUGUAGLIANZA SOCIALE
Nello studio riportato da La Verità emerge anche come la transizione green sia fonte di disuguaglianza sociale. Secondo gli esperti “per una famiglia della classe media ristrutturare una casa e cambiare l’impianto di riscaldamento o sostituire un veicolo convenzionale con uno elettrico costa l’equivalente del reddito di un anno“. Serve dunque il sostegno del governo, che però è vincolato dai parametri di bilancio. Gli economisti francesi dicono però che ritardare le azioni verso il Net Zero per tenere sotto controllo il debito pubblico sarebbe sbagliato, dunque sì al debito per la transizione.
Come se non bastasse potrebbe essere necessario un aumento temporaneo delle tasse aggregate e dei contributi previdenziali per finanziare la transizione climatica. Gli economisti ipotizzano un prelievo straordinario sulle finanze dei più ricchi, una sorta di patrimoniale, che però sostanzialmente andrà a colpire i soliti noti, vale a dire la classe media, aumentando maggiormente il divario tra classi sociali. In ultimo si aggiunge che la stessa l’Unione europea si troverà a vacillare, non potendo rimanere competitiva essendo allo stesso tempo paladina del clima, paladina del multilateralismo e paladina della virtù fiscale. Un trilemma da cui non si esce. L’Ue si troverà ad affrontare problemi di competitività su diversi fronti, con prezzi elevati dell’energia, un meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (Cbam) che limita la rilocalizzazione delle emissioni di carbonio ma non affronta fondamentalmente i problemi di competitività, e la sfida americana.