Caro direttore,
desidero offrire spunti di riflessione a partire dall’articolo “Transizione Green: i numeri che smontano il totem della sostenibilità”, recentemente pubblicato su questo quotidiano. Non condivido il giudizio impietoso che si evince da questo articolo circa la transizione ecologica e il tentativo delle istituzioni europee di affrontare un tema di assoluta urgenza come quello della sostenibilità.
È sempre più riconosciuta l’evidenza che il modello di sviluppo neoliberista è finito e che occorre trovare vie per un nuovo sviluppo sostenibile, dove sostenibile significa rispettoso non soltanto dell’ambiente, come viene presentato nell’articolo di riferimento, ma innanzitutto di tutte le dimensioni della persona, da quella relazionale a quella sociale ed economica. Sono sempre di più gli imprenditori e i manager aziendali che considerano la sostenibilità non una zavorra, ma, al contrario, la leva per la modernizzazione del sistema produttivo. Anche diverse personalità intervenute durante l’ultima edizione del Meeting di Rimini hanno manifestato questa convinzione. La visione per cui la sostenibilità è nemica dello sviluppo è sbagliata e anacronistica.
Dall’articolo emerge una svalutazione preoccupante degli obiettivi di sostenibilità ambientale, riducendo a “fondamentalismo ambientalista” quella crescente sensibilità da parte delle giovani generazioni, ma non solo, riguardo al patrimonio naturale e ambientale. Possono esserci delle derive ideologiche, ma è altrettanto presente una crescente attenzione genuina verso l’ambiente che nasce innanzitutto da un riscoperto stupore per ciò che ci circonda, a partire dalle relazioni umane e dalla natura. Il numero della rivista Nuova Atlantide “Cosa sostiene la sostenibilità?” offre una chiara documentazione di questa evidenza.
Negli anni più recenti, l’Unione Europea si sta affermando come il soggetto istituzionale più attento e attivo rispetto al tema dello sviluppo sostenibile. Lo confermano iniziative come il Green New Deal, il piano Fit for 55, REPowerEU e il Next Generation EU. Questo tentativo, che nell’articolo viene definito addirittura “patetico”, deve essere riconosciuto e valorizzato. Ciò non significa astenersi da considerazione critiche e dal mettere in luce aspetti di criticità che comunque permangono. I dati riportati nell’articolo riguardo alla produzione dei pannelli fotovoltaici richiedono senza dubbio una riflessione, ma questo è un particolare che non può determinare un discredito totale sull’intero processo avviato verso la transizione ecologica ed economica.
È un bene che l’Europa voglia essere capofila in questo percorso e il fatto che Paesi come la Cina non stiano andando nella stessa direzione non giustifica l’abbandono di un tentativo per certi aspetti problematico ma nobile per il suo ideale. Certo, le istituzioni devono lasciare alle comunità locali una sana autonomia nella definizione degli obiettivi di sviluppo sostenibile e nell’utilizzo delle risorse per raggiungerli. Tuttavia, è necessario e inevitabile che gli organi di governo europei indichino un metodo comunitario da seguire, dentro l’Europa e fuori. Questo a mio avviso non rappresenta “l’ennesimo tentativo di imporre il nostro modello di sviluppo”, quanto piuttosto l’inizio di un nuovo processo globale.
Come giustamente scritto nell’articolo, tale processo è tutt’altro che lineare. Proprio per questo, sarebbe utopico pensare che non ci siano problemi o addirittura contraddizioni nelle scelte operative. Ma il fatto che ci siano criticità non significa necessariamente che l’obiettivo da raggiungere sia sbagliato. Occorre affrontare anche questi aspetti con spirito costruttivo, con la consapevolezza che la sostenibilità ambientale, sociale, relazionale e spirituale – per riprendere le quattro dimensioni richiamate da Papa Francesco – è un bene per l’uomo e dunque per il sistema produttivo. Se dimentichiamo questo rischiamo di buttare via il bambino con l’acqua sporca.
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