La recente provocazione espressa dal presidente del Consiglio dei ministri Mario Draghi “Preferiamo la pace o il condizionatore acceso?” ci aiuta a effettuare alcune considerazioni relative che gli eventi bellici hanno evidenziato in relazione al processo di transizione ecologica.
Secondo il vocabolario online della Treccani, per transizione si intende il “Passaggio da un modo di essere o di vita a un altro, da una condizione o situazione a una nuova e diversa”. Se risulta chiaro che per la transizione ecologica il “nuovo modo di essere o di vita” si ricollega a un comportamento caratterizzato da una drastica riduzione delle emissioni inquinanti, meno percepito è il passaggio “da una condizione o situazione a una nuova e diversa” dalla quale si deduce che il punto di arrivo della transizione ecologica non sarà lo stesso di quello di partenza, anche se non sarà necessariamente peggiore.
Due esempi in riferimento alle nostre abitudini acquisite possono aiutarci. Considerando come unico vettore energetico l’energia elettrica e a prescindere da tutte le variabili connesse, allo stato attuale dell’arte se dovessimo sostituire le autovetture a combustione interna con quelle totalmente elettriche avremmo con molta probabilità una minore flessibilità di utilizzo, ad esempio per quanto riguarda i tempi di ricarica delle batterie e lo stress da autonomia, al contrario se dovessimo utilizzare i piani di cottura a induzione al posto di quelli a gas il risultato sarebbe l’opposto, si veda i minori tempi di utilizzo e di pulizia facilitata.
Ma le modalità di utilizzo alle quali ci siamo abituati non sono gli unici criteri da considerare nella transizione ecologica.
Inoltre, la provocazione del Primo ministro ci richiama soprattutto a una dimensione della transizione ecologica che spesso viene dimenticata.
Normalmente ci si focalizza sul “come” produciamo e utilizziamo l’energia per ridurre le emissioni inquinanti e meno sul “quanto” siamo disposti a rinunciare alle nostre abitudini per salvaguardare l’ambiente. Oltre al punto di partenza e a quello di arrivo, spesso ci sfuggono le fasi intermedie e l’obiettivo generale. Ora abbiamo bisogno di ridurre l’inquinamento.
Sul “come” produciamo energia la prospettiva indicata dalla politica è quella di incrementare l’utilizzo delle fonti rinnovabili e dell’idrogeno verde per la produzione di energia elettrica con l’integrazione, non si sa fino a quando provvisoria, del gas e del nucleare.
Sul “come” utilizziamo l’energia la politica ambientale spesso si scontra con altre esigenze. Alcuni esempi possono essere utili. Nel caso dell’automobile, ad esempio, dovrebbe essere favorita esclusivamente la rottamazione del parco circolante più vecchio e sostituito, com’è stato fatto in passato, anche con veicoli usati meno inquinanti. Nel caso del riscaldamento autonomo dovrebbe essere accelerato e verificato l’impiego delle caldaie a condensazione o meglio ancora a pompa di calore.
Sul “quanto” mancano, invece, non meno significative specifiche indicazioni. Qualche suggerimento l’aveva accennato il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani nel dicembre scorso quando aveva ammonito in videoconferenza gli studenti di medie e licei ricordando a loro che “Un atto di responsabilità è capire che l’utilizzo smodato dei social non è gratis …..Vi sembrano gratis perché in realtà il prodotto siete voi. E quando mandate delle inutili fotografie, qualcuno le paga e hanno un impatto superiore di quel che pensate. Il traffico aereo produce il 2% della CO2, il digitale arriva al 4% e metà viene dai social”.
Per aiutare l’ambiente, e speriamo anche l’Ucraina, siamo noi adulti disposti a rinunciare un po’ ai social e a qualche grado di calore o di fresco come hanno proposto, e vedremo se riusciranno ad attuarlo, per le strutture e gli uffici pubblici?
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