Tra la Moldova e l’Ucraina si trova una regione che è rimasta relativamente poco conosciuta sulla scena mondiale fino al 2022: la Repubblica moldava di Pridnestrovia o semplicemente Transnistria. Questa stretta striscia di terra di 4.163 km quadrati lungo il fiume Dniester è stata oggetto di contese e dispute fin dal crollo dell’Unione Sovietica. Quest’entità, non riconosciuta a livello internazionale e dove risiedono circa 470mila persone, ospita circa 1.500 soldati russi, presenti nell’ambito di una missione di mantenimento della pace, oltre ad avere il più grande deposito di armi d’Europa, ereditate dall’Unione Sovietica.
La storia
Le origini della Transnistria risalgono alla Repubblica Socialista Sovietica Autonoma Moldava (RASSM), che si formò all’interno della RSS Ucraina nel 1924. In seguito alla Seconda guerra mondiale, la RSSAM fu trasferita sotto l’amministrazione della Repubblica Socialista Sovietica Moldava (RSSM), all’interno dell’Unione Sovietica, dove ci fu l’unificazione di due entità distinte (note come Bessarabia e Transnistria, o “riva sinistra” e “riva destra” del fiume Dniester), che è stata centrale per l’ulteriore evoluzione sia della RSS moldava sia della Repubblica di Moldova.
Dal punto di vista economico e demografico, la Moldova sovietica si sviluppò gradualmente come due repubbliche in una: una popolazione moldava in gran parte rurale, e una popolazione più urbana, slava e generalmente immigrata in Transnistria che lavorava nell’industria pesante di stampo sovietico. Prima del crollo dell’URSS, la Transnistria rappresentava quasi il 40% del PIL della Moldova, nonostante occupasse solo il 12% del territorio del Paese.
Con la dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991, i transnistriani, preoccupati dalla potenziale discriminazione e dalla perdita della loro identità culturale, optarono per la secessione dalla Moldova. L’imposizione della lingua romena e la presumibile annessione della Moldova alla Romania sono stati i temi chiave del discorso secessionista. Nel 1992, questa decisione gettò le basi per un conflitto tra Moldova e Transnistria che è stato sostenuto economicamente e militarmente dalla Russia, e che nonostante sia “congelato”, rimane irrisolto. Nel 2006, Tiraspol ha organizzato un referendum a favore o meno al graduale ritorno della regione alla Federazione Russa, in cui il 78,6% degli elettori transnistriani ha preso parte. Di questi, il 97,1% ha votato a favore. Nel 2014, questo progetto è stato nuovamente sollevato.
Conflitto irrisolto
Nel corso degli anni, ci sono stati vari tentativi per risolvere il conflitto in Transnistria con mezzi diplomatici. Il formato negoziale 5+2, che coinvolge Moldova, Transnistria, Ucraina, Russia e l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), con gli Stati Uniti e l’Unione Europea come osservatori, è stato il quadro principale per le discussioni. Tuttavia, i progressi sono stati lenti, con disaccordi su questioni centrali come la sovranità, la sicurezza e lo status delle truppe russe che hanno ostacolato progressi significativi. L’ultimo incontro si è svolto alla fine del 2019 e non ha prodotto alcun risultato. Inoltre, l’assertiva politica estera russa nei confronti della Moldova, l’assistenza fornita ai separatisti e i periodici embarghi sulle merci moldave hanno ricevuto solo un’attenzione irregolare da parte dell’Unione Europea e degli Stati Uniti sul processo di negoziazione.
A livello diplomatico, l’uscita della Russia dal Consiglio d’Europa ha avuto un impatto diretto sulla Moldova. Infatti, l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (PACE) ha approvato una risoluzione in cui la Transnistria è stata descritta come una zona occupata dalla Russia. Questa interpretazione ha naturalmente suscitato proteste a Tiraspol, che ha descritto il documento come “distaccato dalla realtà” ed “estremamente pericoloso”, così come Mosca ha ritenuto che questa risoluzione non tenga conto della realtà sul campo.
Nel 2022 è stato revocato il Decreto n. 605 del 2012, che fra i vari punti sanciva l’impegno della Russia a “trovare una soluzione al conflitto transnistriano che rispetti l’integrità territoriale e la neutralità della Repubblica di Moldova istituendo uno status speciale per la Transnistria”. Da una parte la competitività della Transnistria si basa soprattutto sugli ingenti sussidi russi per il gas e il cui debito dovrebbe essere ufficialmente pagato dalla Repubblica di Moldova, ma non è riconosciuto dalle autorità moldave. Attraverso questo schema, in vigore dagli anni 90, la Federazione Russa tiene in ostaggio la Moldova e sovvenziona pesantemente la regione transnistriana. Dall’altra parte, la Transnistria è economicamente dipendente dalla Moldova ed esporta attraverso di essa verso i Paesi dell’Unione Europea.
Nuova destabilizzazione?
Dopo più di tre decenni senza un confronto diretto e in cui tra le due capitali è emerso un modus vivendi in cui le tensioni erano limitate, il 28 febbraio scorso le autorità transnistriane hanno chiesto protezione alla Russia, di fronte alla “maggiore pressione” di Chișinău, presumibilmente facendo riferimento a tutta una serie di dazi che la Moldova ha imposto loro di pagare al bilancio centrale anziché ai bilanci locali come avvenuto in precedenza. In risposta, il ministero degli Esteri russo ha dichiarato la sicurezza degli abitanti della Transnistria una priorità. In particolare, ha affermato che “Chișinău sta seguendo esattamente le orme del regime di Kyiv cancellando tutto ciò che è russo”, esplicitando timori vista la somiglianza della narrativa di Mosca di “protettore” della popolazione russa.
Difatti, due anni fa una delle preoccupazioni maggiori degli analisti occidentali riguardava la possibile annessione della Transnistria, una volta conquistata Odessa, ma questa ipotesi fino ad oggi non si è realizzata. Il portavoce del governo moldavo ha dichiarato con fermezza che al momento non c’è alcun pericolo di destabilizzazione. Anche lo storico rumeno Armand Goșu ha affermato che “gli oligarchi che controllano Sheriff, Krasnoselski e praticamente tutto ciò che si muove in Transnistria, non vogliono che i loro miliardi di dollari vadano sprecati. Né vogliono finire nell’elenco delle sanzioni adottate in Occidente contro la Russia. È chiaro che il loro interesse è quello di non alienare la Transnistria alla Russia”.
In merito, nel 2023 il 70% delle esportazioni della Transnistria è stato destinato ai Paesi dell’Unione Europea e le esportazioni verso la Federazione Russa sono diminuite di oltre il 40%. Per il momento sembra che Tiraspol, adottando una posizione vittimistica, desideri principalmente vanificare gli sforzi di Chişinău di reintegrare la regione transnistriana. Si presume che per il prossimo futuro ci sarà un incremento di tattiche di guerra ibride, particolare con campagne di disinformazione e sostegno ai movimenti separatisti nelle due regioni moldave, anche se la situazione rimane imprevedibile. Come osserva Timothy Snyder, per il Cremlino “lo scopo di un conflitto congelato è impedirne qualsiasi risoluzione”.
(1 – continua)
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