Una mobilità flessibile, capace di gestire i grandi flussi attraverso treni e metropolitane, ma anche di rispondere alle singole esigenze degli utenti che si devono spostare per i motivi più disparati. Così dovranno essere organizzati i trasporti del futuro, spiega Paolo Guglielminetti, Partner in PwC Italia, dove è Global Railways & Roads Leader, con agenzie di governance comuni che, come a Dubai, Londra, Singapore, gestiscono tutto il sistema, ma anche sviluppando la capacità di interscambio dei nodi in cui è possibile passare da un mezzo all’altro. E con delle città che si organizzano in modo tale da avere orari e impegni sostenibili per la loro rete di mobilità.
Il futuro della mobilità sarà sempre più “on demand” e flessibile?
Sì, sarà così. Dopo il Covid immaginavamo una ripresa un po’ più lenta degli spostamenti. Pensavamo che lo smart working, lo spostamento sull’online di altre attività e l’e-commerce avrebbero ridotto la propensione a spostarsi. Chi ha sofferto di più di questa evoluzione, che si concretizza nella riduzione di quelli che chiamiamo spostamenti sistematici, è stato il trasporto pubblico, che non è tornato al livello di mobilità pre-Covid: in Italia siamo a un meno 20%. Così anche in altri Paesi, dove la riduzione è del 10-12%. La gente oggi ha esigenze più variegate che raggiungere tutti i giorni lo stesso punto, come il luogo di lavoro. Fa spostamenti anche per altre ragioni e ogni volta deve immaginare come costruire la sua soluzione.
Ma questo tipo di flessibilità può darlo solo il trasporto individuale, l’auto. È possibile oggi realizzare spostamenti sostenibili?
Per garantire la sostenibilità occorrerebbe un maggiore uso di auto elettriche, di biciclette, soluzioni in sharing. Quello che stiamo osservando, però, è che le auto elettriche non hanno conquistato il mercato come ci aspettavamo e che da un paio di anni sono diminuite le vendite di biciclette. Vanno meglio, come domanda, monopattini e scooter, ma con grosse difficoltà per gli operatori nel mantenere l’equilibrio dei conti e soluzioni viste come portatrici di disordine nella gestione delle città. Non abbiamo, quindi, soluzioni che stanno crescendo come vorremmo. Tra l’altro, le persone ricorrono spesso all’usato: in Italia per ogni auto nuova ne vengono vendute due usate.
La mobilità sostenibile, quindi, è in crisi?
Sì. Per portare la gente a soluzioni sostenibili bisogna renderle più vicine ai loro fabbisogni, che, come abbiamo visto, sono cambiati e richiedono flessibilità. Due sono le cose da fare: innanzitutto bisogna conoscere le nuove esigenze di mobilità, utilizzando tutti i dati che si possono raccogliere attraverso le piattaforme di bigliettazione, i dati dei cellulari, i sistemi di monitoraggio del traffico, per rispondere in tempo reale con un’offerta adeguata. Sul trasporto pubblico posso farlo più facilmente, ma devo costruire le regole per cui le aziende del settore possano agire senza dover chiedere l’approvazione a un soggetto terzo per ogni variazione del servizio.
Per il resto, invece, cosa si può fare?
Posso immaginare di sviluppare di più i sistemi a chiamata, sistemi di navette da pianificare in base a esigenze espresse direttamente attraverso app o centrali telefoniche, per fornire una soluzione di trasporto quando e dove serve. In tutto questo occorre attivare l’intermodalità: il sistema funziona se i diversi tipi di mobilità sono interconnessi, per cui il trasporto pubblico deve avere aree di parcheggio per lasciare l’auto e proseguire con mezzi, facendo in modo che l’utente sappia se c’è posto auto, se c’è la possibilità di ricarica per un’auto elettrica o della sharing mobility. L’intermodalità, insomma, è fatta di informazione, ma anche di luoghi fisici, di una migliore progettazione dei nodi del trasporto come parcheggi, stazioni, aeroporti.
In Lombardia un tema come questo diventa molto rilevante.
In una città come Milano quasi la metà degli spostamenti è di persone che vengono da fuori comune: è importante collegare meglio il sistema della viabilità extraurbana, delle tangenziali alla mobilità urbana, con parcheggi di interscambio. Così come sono importanti i sistemi a chiamata per servire le aree a bassa intensità di popolazione o luoghi di lavoro con domanda variabile, perché le persone vanno in ufficio solo alcuni giorni a settimana ed è meglio servirle magari con una navetta. Poi c’è il problema della governance. Ci sono tanti soggetti coinvolti, bisogna creare un sistema che governi tutto in maniera efficiente: se raddoppio la capacità di un parcheggio in prossimità di una stazione di Trenord e questo genera un aumento di passeggeri per i treni, ma il servizio sulla linea è invariato, avrò soltanto treni più pieni e qualcuno che resta a terra. E la volta dopo la gente proseguirà il viaggio in macchina.
La mobilità, insomma, va programmata come sistema complessivo?
Ci deve essere coerenza, non solo nella pianificazione ma anche nel quotidiano. Le nostre città devono affrontare scioperi, manifestazioni, grandi eventi, maltempo, oppure un concerto o una partita, e questo si riflette sulla domanda e offerta di trasporto. Se si allaga un tratto di metropolitana, come è successo negli scorsi giorni a Valencia e Barcellona, devo intervenire sugli altri sistemi per sopperire. Se ci fosse una congestione sulla tangenziale, dovrei portare fuori auto e permettere a chi si sposta di proseguire in altra maniera. Non è banale farlo ma bisogna cominciare: manca la capacità di prendere il toro per le corna e assicurare un’alternativa.
Ci sono esempi virtuosi di organizzazioni di questo tipo?
Questi sistemi funzionano dove ci sono agenzie di mobilità che non si occupano di controllare cosa fa un operatore di trasporto pubblico, ma governano il sistema. A Dubai e Londra ci sono soggetti che hanno dentro di sé la governance della mobilità urbana (trasporto pubblico, sharing mobility o altro) garantendo unità organizzativa: lo stesso soggetto controlla tutti i sistemi ed è responsabile del coordinamento tra di loro. Succede anche a Singapore. Tutto viene abilitato tecnologicamente: occorre coordinarsi in tempo reale e avere visibilità dello stato del servizio, delle condizioni future, quindi di quello che potrebbe accadere, per indirizzare scelte di variazione del servizio sulle diverse possibilità di trasporto. Tutto questo, poi, va reso economicamente sostenibile, creando una struttura incentivante per gli operatori.
Quello della mobilità è un problema organizzativo o anche di infrastrutture da creare?
Un po’ di infrastrutture servono. Ci sono elementi del sistema che hanno bisogno di investimenti: se voglio mettere più treni, vuol dire che penso di trasportare più persone, per questo devo connettere il sistema ferroviario meglio con il resto della mobilità, soprattutto fuori Milano. Devo immaginare un investimento sulla rete ferroviaria e sui nodi dell’intermodalità. Ma devo anche rivedere le regole in modo che questo sistema funzioni.
Nella mobilità del futuro c’è una modalità di trasporto su cui sarebbe meglio puntare? L’auto, il treno, il bus sono da mettere sullo stesso piano come mezzi da utilizzare?
Ciascuno di noi si sposta per ragioni diverse, con diverse necessità; ma nelle aree metropolitane ho comunque dei flussi di entrata e uscita dai principali attrattori e devo cercare di convogliarli sui sistemi più efficienti per la gestione di grandi spostamenti, cioè ferrovia e metropolitana. Sapendo che anche nelle città, con una migliore organizzazione, garantiscono il 30-40% degli spostamenti, perché poi ci sono una serie di microspostamenti che non possono essere affrontati in quel modo. Il trasporto di massa su rotaia deve essere connesso molto meglio con il resto del sistema. Nella rete regionale delle ferrovie sono poche le stazioni con parcheggi di interscambio con una capacità quantitativamente significativa. Dobbiamo dare capacità alle grandi direttrici investendo e potenziandole, facendo attenzione al tema dei nodi. E poi creare le modalità per connetterle meglio con il resto delle soluzioni di mobilità.
Ci vuole anche una visione diversa della città? Degli orari di lavoro, studio, dei servizi pubblici?
Ero a Barcellona nei giorni in cui ci sono state forti piogge, che hanno provocato notevoli disagi. Quella settimana c’erano tre grandi eventi. Bisognerebbe sviluppare la capacità di distribuirli, perché dobbiamo cominciare a chiederci quanto può sopportare un sistema territoriale. A Milano questa riflessione viene fatta molto poco. Si continua a sfruttare la grande capacità attrattiva, ma se pensiamo per esempio ai grandi concerti, all’uscita passano 30-40 minuti prima di trovare un bus. In Germania, invece, il biglietto per la fiera vale anche come ticket gratuito per usare i mezzi pubblici. E anche a Torino, alle ATP Finals funziona così.
(Paolo Rossetti)
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