L’Italia ha reagito alla pandemia meglio di altri Paesi, soprattutto per l’efficienza della campagna di vaccinazione: positivi sono stati quindi i riflessi sull’economia, con una rapida ripresa della produzione e una ancor più marcata espansione delle esportazioni. In questo contesto positivo, ci sono però aspetti che creano preoccupazione: crescenti difficoltà di approvvigionamento e aumento dei prezzi di molte materie prime e semilavorati. Cerchiamo di comprenderne le cause e i possibili sviluppi.



La ripresa è stata caratterizzata da evidenti interruzioni degli approvvigionamenti, a cominciare dal trasporto marittimo, causate da problemi tecnici, ma anche da un sempre più complesso e instabile contesto geopolitico.

La prima causa tecnica riguarda la domanda. Le fasi di completo lockdown hanno avuto una tempistica geografica differenziata: sono iniziate in Oriente, soprattutto in Cina, e sono state attivate in Occidente due o tre mesi dopo, quando erano già in atto le riaperture nei Paesi colpiti per primi dal virus. Questa asimmetria ha prima ridotto il funzionamento delle catene di trasporto (all’inizio Occidente chiede e Oriente non risponde; poi viceversa) e ha poi determinato una distribuzione anomala e inefficace dei mezzi: quando l’Oriente ha ripreso a produrre, le navi e i container vuoti erano rimasti in Occidente. Questo squilibrio è stato aggravato dalle grandi difficoltà a provvedere alla turnazione degli equipaggi, impediti dalle restrizioni ai viaggi internazionali: secondo le stime della Camera Internazionale della Marina, circa 250.000 marittimi sono rimasti bloccati lontano da casa ben oltre la scadenza dei loro contratti.



Questi fattori tecnici hanno prodotto una drastica caduta della affidabilità dei trasporti: nel maggio 2020, l’affidabilità globale degli orari era stata del 75%, ma nel maggio 2021 era crollata al 39%, con un ritardo medio delle navi di sei giorni e molti casi di navi che hanno “saltato” uno o più porti nel tentativo di recuperare il tempo perso. Questi fenomeni continueranno a perturbare il traffico a lungo, anche dopo la fine delle restrizioni dovute al Covid: è come avviene in autostrada, quando, risolto l’incidente, il traffico impiega ore per ritrovare la naturale fluidità e ci troviamo a fare una coda senza apparenti motivi.



Le cause tecniche, però, non spiegano tutto. Anzi, si sospetta che proprio con la “copertura” delle cause tecniche siano in atto comportamenti che hanno altre origini: una parte consistente degli attori della produzione e del trasporto non decide seguendo unicamente criteri di mercato, ma è guidata da logiche diverse, riconducibili a un profondo riassetto geopolitico globale. Solo negli ultimi anni l’Occidente, a lungo accecato da una visione ideologica di stampo mercatista, sembra aver preso consapevolezza della diversa natura delle grandi imprese cinesi: evidente è la priorità assegnata a questo tema dall’Amministrazione Usa e anche il cambio della posizione europea, che ha portato la Commissione a non riconoscere alla Cina lo status di “economia di mercato”, con la conseguente possibilità di imporre dazi più elevati sulle importazioni cinesi oggetto concorrenza sleale.

Se osserviamo il comparto della logistica e dei trasporti non possiamo che trovare una piena conferma di questa strategia pervasiva della Cina, tesa a conquistare posizioni dominanti: già oggi, le grandi imprese cinesi partecipate direttamente dallo Stato controllano importanti segmenti del trasporto marittimo e stanno assumendo il controllo di infrastrutture strategiche quali sono i grandi porti marittimi e i loro retroporti: solo per fare due esempi italiani, il nuovo terminal di Vado Ligure è controllato dal gruppo danese Maersk, col 50,1%, ma il restante 49,9% è posseduto dalla Cina attraverso le partecipazioni di Cosco shipping ports (40%) e di Qingdao port international (9,9%). Inoltre, sempre la Cosco è dietro alla società turca Yilport Holding alla quale è stata affidata, per i prossimi 49 anni, la gestione del terminal contenitori di Taranto.

Siamo quindi portati a riflettere sul fatto che gli aumenti di prezzo, nel settore dei trasporti come in altri settori strategici, non siano del tutto riconducibili a una logica di mercato. In questa logica, la crescita della domanda fa aumentare i prezzi e questo incentiva altri imprenditori a sviluppare l’offerta con il risultato di riportare gradualmente i prezzi in linea con i costi di produzione. Se, però, la logica che muove gli attori non è di mercato, allora ci può essere tutto l’interesse a non far tornare l’equilibrio e a condizionare l’economia di un Paese costringendola a subire un’inflazione “importata”, fenomeno nei confronti del quale si è spesso privi di efficaci strumenti di contrasto.

Per concludere, è evidente che le catene logistiche abbiano ormai assunto un’importanza strategica per la sicurezza e l’autonomia di un Paese: occorre curarne lo sviluppo e, soprattutto, occorre non lasciare in mano ad altri la chiave della catena.

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