«Il governo Monti ha dimostrato la volontà di aprire realmente alla concorrenza e quindi di liberalizzare il sistema dei trasporti ferroviari. Si tratta di una scelta che sia nel Regno Unito sia in Germania ha prodotto degli ottimi risultati, ma che l’ex governo Berlusconi purtroppo non ha voluto seguire». Marco Piuri, ad di Arriva Italia ed ex ceo di Ferrovie Nord, commenta così le misure sulla liberalizzazione nei trasporti ferroviari, che dovrebbero comportare la fine del monopolio di Trenitalia e l’avvio di gare aperte ai privati per la gestione dei servizi.
Come valuta la liberalizzazione dei trasporti locali annunciata dal governo Monti?
In termini generali la mia valutazione è positiva. Sembrerebbe, infatti, che l’attuale governo voglia andare in una direzione diversa da quella che aveva segnato le decisioni del governo Berlusconi. Mario Monti finora ha dimostrato la volontà di aprire realmente alla concorrenza e quindi di liberalizzare il sistema. Il testo ovviamente deve essere discusso in Parlamento che può apportare delle modifiche, e temo che saranno peggiorative. Considero comunque molto positiva la creazione di un’authority per i trasporti, come pure il fatto che sia dotata di effettivi poteri e risorse in modo che possa svolgere un ruolo reale. Considero corretto che sia l’authority a valutare le modalità in cui debba avvenire la separazione proprietaria tra rete ferroviaria e gestione del servizio. Tra gli elementi positivi delle liberalizzazioni di Monti c’è inoltre la cancellazione dell’obbligo di adottare il contratto di lavoro di Fs (molto oneroso) e la scelta di prevedere la gara come modalità prevalente per affidare il servizio. Interrompendo così di fatto i famosi contratti sei più sei (anni) siglati direttamente da molte Regioni con Trenitalia senza alcun confronto con il mercato.
La riforma dei trasporti ci avvicinerà o allontanerà all’Europa?
In Europa esistono due modelli differenti. Regno Unito e paesi del Nord Europa hanno scelto la separazione proprietaria tra reti e servizio ferroviario statale. Mentre al contrario l’Europa continentale, in particolare Germania e Francia, hanno optato per la decisione opposta. La questione non è però di farne un problema ideologico, ma un tema per le liberalizzazioni. Se ci sono le condizioni per liberalizzare cambia poco quale sia il modello adottato. Esempi virtuosi sono documentati in entrambi i casi: la liberalizzazione c’è stata e ha prodotto effetti positivi sia nel Regno Unito sia in Germania.
Eppure in molti affermano che nel Regno Unito i treni funzionano tutt’altro che bene…
Gli oppositori delle liberalizzazioni in Italia si sono inventati la leggenda del disastro del sistema ferroviario britannico, che è del tutto infondata. Nella storia dei trasporti inglesi è stato effettivamente commesso un errore, quello cioè di privatizzare l’infrastruttura ferroviaria. Quest’ultima non può generare per sua natura un ritorno dell’investimento. Tanto è vero che il Regno Unito ha deciso, per quanto riguarda questo aspetto, di ritornare sui suoi passi. Per i paesi che decidono di separare l’infrastruttura dal gestore del servizio, il modello inglese resta molto interessante in quanto il soggetto proprietario della rete ferroviaria è una “Not for profit”, agisce cioè senza fini di lucro. I numeri del trasporto ferroviario nel Regno Unito sono assolutamente positivi. Tra il 1995 e il 2010 in Europa i passeggeri dei treni sono aumentati mediamente del 20%. Nello stesso periodo in Italia sono aumentati dell’8% e nel Regno Unito dell’85%.
Quali sono quindi i dati assoluti da cui partivano Italia e Regno Unito?
I dati assoluti non mi interessano. Come si fa a sostenere che il sistema ferroviario britannico sarebbe un disastro, quando ha quasi raddoppiato i suoi passeggeri? E che quello italiano funzionerebbe bene, quando è cresciuto soltanto dell’8%? Quando nel 1996 la Gran Bretagna ha iniziato ad affidare porzioni del servizio in franchising, il sistema pubblico pagava ai gestori più di 2 miliardi di sterline. Il meccanismo della liberalizzazione ha portato l’ammontare dei soldi pagati con la fiscalità generale a soli 990 milioni di sterline nel 2009. Nel Regno Unito chi ottiene una concessione per i servizi ferroviari deve inoltre pagare per l’utilizzo della rete. Nel 2009 lo Stato ha così incassato 380 milioni di sterline.
Qual è invece il modello ferroviario della Germania?
La Germania ha un modello più simile a quello italiano, ma da 10 anni ha cominciato a liberalizzare il settore mettendo a gara 200 milioni di treno/chilometro, circa 20 milioni l’anno pari cioè a quelli spesi nella sola Emilia-Romagna. Due terzi dei servizi messi a gara sono stati assegnati a operatori diversi da Deutsche Bahn (DB), l’ex monopolista nazionale. DB quindi ha perso quote di mercato interno, ma i sussidi pubblici pagati dalla fiscalità generale sono scesi del 26%, la soddisfazione del cliente tedesco è complessivamente aumentata e lo stesso è avvenuto per la produzione di servizio.
Ma il costo dei trasporti ferroviari non è troppo oneroso per renderli convenienti per un privato?
Le posso garantire che non è così. Il Parlamento italiano nel 2009 ha approvato una legge attraverso cui garantiva aiuti di Stato, purché le Regioni firmassero contratti con Trenitalia. Dove i governatori hanno detto di sì, il contratto di Trenitalia è diventato più oneroso, in quanto quest’ultima ha presentato una nuova proposta in termini di servizi e dei loro costi che ha portato mediamente a un aumento del costo dal 30 al 50%. Noi riteniamo che si possano fare servizi di qualità, facendosi carico anche dell’investimento in treni nuovi, utilizzando le risorse pubbliche pagate a Trenitalia prima della adozione del cosiddetto “catalogo”. In uno slogan: “Fare di più con meno”. In Italia alcuni dichiarano che le gare sono fallite perché non ci sono condizioni interessanti per gli operatori. Non é cosi. Le gare sono “fallite” perché o non sono state fatte o perché, nei rarissimi casi in cui ciò è avvenuto, le condizioni favorivano esclusivamente l’incumbent, cioè l’operatore storico.
(Pietro Vernizzi)