Ha detto che se lo aspettava, che è una mossa “comprensibile”, eppure sembra proprio che a Sergio Marchionne il taglio di Moody’s non sia andato giù. L’agenzia di rating ha declassato Fiat Spa a Ba3 da Ba2, ritoccando allo stesso tempo anche il giudizio sulle controllate Fiat Finance & Trade e Fiat Finance North America a B1 da Ba3, nonché il rating di Fiat Finance Canada (P) da B1 (P) Ba3. L’amministratore delegato di Fiat non l’ha presa benissimo e poi ha lanciato un chiaro richiamo alla Commissione europea, che “deve smetterla di firmare accordi di libero scambio. Questo non è il momento di abbracciare il libero scambio, davvero no”, ha detto Marchionne a margine di una conferenza stampa a Bruxelles, aggiungendo che l’Ue “deve essere coerente nei suoi obiettivi. Prima di firmare questi accordi, la Commissione europea deve permettere all’industria dell’auto europea di strutturarsi e di prepararsi a questa apertura del mercato e finanziare il proprio aggiustamento strutturale, ma bisogna permettergli di farlo, di riallineare i propri interessi”. Poi, in risposta alle recenti critiche di Matteo Renzi (“Marchionne non solo ha cambiato idea, ma ha tradito”), l’ad del Lingotto ha rivolto parole al vetriolo al giovane candidato alle primarie del centrosinistra: “E’ la brutta copia di Obama, ma pensa di essere Obama”. E ha poi definito Renzi “il sindaco di una piccola, povera città”. IlSussidiario.net ha chiesto un commento a Agostino Ghiglia, Vice Coordinatore Vicario del Pdl in Piemonte.



Come giudica le parole di Marchionne riguardo il libero mercato?

Sono dichiarazioni alquanto singolari. Marchionne fa il liberista e il liberale quando gli è più comodo, mentre in altre occasioni va a chiedere sostegno a vari Stati per poter sostenere le iniziative imprenditoriali del suo gruppo. Non so se sia necessario una sorta di neoprotezionismo europeo o se il libero mercato debba essere messo in discussione, ma credo che al momento bisognerebbe concentrare l’attenzione su altri aspetti.



Quali in particolare?

Vorrei ricordare che il progetto Fabbrica Italia, presentato dallo stesso Marchionne due anni fa, prevedeva alcuni impegni concreti da parte di Fiat. Io sono torinese e ricordo che nello stabilimento Mirafiori della nostra città si sarebbero dovuti produrre entro il 2012 due nuovi modelli, eppure non è stato montato neanche il primo bullone di una catena di montaggio. Non voglio arrivare alla metapolitica, ma solamente rimanere sul problema italiano qui e oggi.

Marchionne ha successivamente risposto alle critiche su Fabbrica Italia.

Senza dubbio la crisi economica e del mercato europeo si fanno sentire, ma la spiegazione di Marchionne non può fermarsi a questo. In caso contrario è ancora più facile rispondere che se non si propongono modelli nuovi e competitivi non si va da nessuna parte. Inoltre, non si può pensare di andare avanti con l’ennesimo restyling della Grande Punto o col modello della 500, ormai vecchio di dieci anni.



Cosa chiede dunque a Marchionne?

Noi vogliamo semplicemente che rispetti i patti. Anche gli attacchi recentemente arrivati dal sindaco di Firenze Matteo Renzi, che considero alquanto ipocriti e utili solo a farsi votare alle primarie, contengono però una importante verità: sono due anni che Marchionne “mena il can per l’aia” su questi argomenti, girando intorno alla questione senza però mai arrivare al dunque.

Marchionne ha inoltre detto in più occasioni di non cercare aiuti né dall’Italia, né dall’Europa per gestire la crisi.

Va bene, ma non dimentichi che negli ultimi cinquant’anni di storia la Fiat ha ricevuto una mole di contributi pubblici nazionali in termini di cassa integrazione, mobilità, incentivi e ricerca che non hanno pari in nessun altro Paese del mondo e nei confronti di nessun altra industria. Non dico che Marchionne debba esserne grato, ma dimostri quantomeno uno spirito di collaborazione verso il lavoro italiano, gli interessi nazionali e un settore che vorremmo rimanesse strategico in Italia, così come lo è in Germania.

Si potrebbe poi aprire anche il capitolo Volkswagen…

Volkswagen ha un grande gruppo e produce automobili di vari segmenti, ma soprattutto propone al mercato una moltitudine di modelli, cosa che Fiat non fa. Il gruppo italiano sta solo importando dall’America dei modelli usciti anche più di 10 anni fa negli Stati Uniti: come la nuova Lancia Thema, che non è altro che una riedizione di una vecchia Chrysler evidentemente inadatta al mercato italiano, oppure come la Fiat Freemont che è solamente una vecchia Dodge. Insomma, di fronte a modelli del genere credo ci voglia un bel coraggio per dire che è il mercato a non rispondere alla Fiat.    

E’ immaginabile, secondo lei, un ritorno al protezionismo?

E’ ovvio che l’Unione europea, con l’accordo di tutti gli stati membri, potrebbe anche decidere nuove misure di protezione dei propri prodotti. Personalmente potrei anche essere favorevole, ma non so quanto possano esserlo le tante imprese italiane che producono per i mercati esteri. Il protezionismo ha i suoi vantaggi e i suoi rischi: da una parte consente a un’azienda di proteggere maggiormente i propri prodotti, dall’altra causa una minor vendita degli stessi nei confronti di quelli che sono, ad esempio, i mercati emergenti, come Cina e India.

Crede dunque che le dichiarazioni di Marchionne siano solo un nuovo modo di girare attorno al problema senza realmente affrontarlo?

Marchionne deve semplicemente comunicare se ha intenzione o meno di rimanere in Italia. Oppure dica chiaramente cosa vuole, come gli incentivi. Per me e per la città di Torino la Fiat è un valore e deve assolutamente continuare a rappresentarlo. E’ senza dubbio un’industria strategica per l’interesse nazionale, ma è necessario che la Fiat ricambi un po’ di questo affetto e dica una volta per tutte che cosa intende davvero fare. Senza però inventare più scuse.    

 

(Claudio Perlini)