Sergio Marchionne ci crede. Crede “nell’Italia, quella di Mario Monti, quella che vuole cambiare”. Per questo motivo, ha detto, “prima investo qui per andare a fare concorrenza ai tedeschi”, e solo dopo penserà alla completa fusione Fiat-Chrysler, anche perché “ tutto insieme non lo posso fare”. Intervistato dal Corriere della Sera, l’amministratore delegato di Fiat ammette che annunciare Fabbrica Italia è stato “il mio più grande errore”, mettendo però sul piatto nuove, pesanti promesse, a cominciare dal pieno rilancio di tutti gli stabilimenti italiani e il riassorbimento completo dei 23 mila dipendenti coinvolti. “Ho guardato il mercato, l’ho affrontato resistendo alle critiche, ma senza fare macelleria sociale. Adesso, dico che nonostante tutto le condizioni ci sono”. La Fiat rinnova dunque la sfida ai colossi tedeschi, perché “oggi è grazie a Chrysler che possiamo far leva su Alfa e Maserati e andare a dare fastidio ai concorrenti dei brand premium”. L’ad del Lingotto, nonostante le polemiche, fa chiaramente sapere di voler tornare a puntare sull’Italia, una scelta “non per deboli di cuore”, ha spiegato.
“In Europa tre costruttori chiudono fabbriche, Ford guadagna in America, ma non mette soldi qui, la Francia dà a Peugeot sette miliardi pubblici. Noi faremo da soli. Ma la Fiat è un cantiere aperto, non chiude mai. Per la terza volta, con la condivisione totale di John Elkann e della famiglia, rivoltiamo l’azienda”. Il progetto italiano di Fiat decolla nuovamente, questa volta da Mirafiori e Grugliasco, i due stabilimenti che, come ha annunciato Marchionne, “saranno la nostra arma per sfondare anche negli Usa”. Infine, il consueto attacco alla Fiom che, a giudizio dell’ad del Lingotto, “si è divisa da sola” ed è “incapace di adattarsi a una realtà in cui la maggioranza vuole lavorare e non farsi condizionare dalla minoranza. Non mi importano gli attacchi personali. Ma ai referendum ha vinto il lavoro. Sono quelle persone, sono i ragazzi di Pomigliano che io devo difendere. Gente che non mi ha mai mollato e che devo proteggere”.
Con un pensiero rivolto al fallimento di Fabbrica Italia, sono ovviamente ancora molti gli scettici che di fronte all’annunciata rivoluzione di Marchionne continuano a mostrare un certo pessimismo. Tra questi non c’è però Bartolomeo Giachino, presidente della Consulta Generale per l’autotrasporto e per la logistica, nonché sottosegretario ai trasporti dal maggio 2008 al novembre 2011, contattato da IlSussidiario.net. Giachino ammette infatti che, in fondo, delle parole di Marchionne ci si può fidare: «Mi fido perché ritengo che Marchionne si stia muovendo bene in una situazione difficilissima – ci spiega – e che quella con Chrysler si dimostrerà per la Fiat un’operazione positiva in Italia e anche in Europa. Invece che chiedere alla Fiat di essere riconoscente per tutto ciò che l’Italia le ha dato, dovremmo invece tentare di fare il possibile per creare le condizioni affinché l’azienda possa operare sul nostro territorio con il massimo della competitività».
Per fare questo, ci spiega ancora Giachino, «è dunque necessario intervenire sulle infrastrutture, sul costo della logistica e del lavoro, su una maggiore efficienza della macchina burocratica e su relazioni industriali che possano mettere la Fiat nella condizione di essere più competitiva di quanto è attualmente». Un primo passo in questa direzione, conclude Giachino, è rappresentato dalle modifiche recentemente apportate alla legge di stabilità, «importanti anche per la stessa Fiat: invece di abbassare le aliquote Irpef, infatti, si sta tentando di intervenire sulla riduzione del cuneo fiscale. Questa è a mio giudizio una delle condizioni per rendere maggiormente competitivo il nostro sistema produttivo e di conseguenza anche il Lingotto. Da questo punto di vista, dunque, il ruolo del governo e dei partiti di maggioranza è stato fondamentale».