Sergio Marchionne conferma il matrimonio fra Fiat e Chrysler. In un’intervista al periodico specializzato Automotive News il numero uno del Lingotto ribadisce le intenzioni già espresse qualche settimana fa. “E’ un passo inevitavile da fare entro il 2014”, ha detto Marchionne, che è anche tornato sui piani di integrazione e ha ribadito un secco no alle cessione di Alfa Romeo: “Se andate a chiedere l’Audi alla Volkswagen non ve la daranno, non è un questione di soldi e lo stesso vale per l’Alfa” ha risposto secco il manager. Per ilsussidiario.net, abbiamo chiesto un commento a Marco Saltalamacchia, già presidente di Bmw Italia, consulente strategico ed esperto del settore automotive.



Qual è il suo giudizio sulla fusione tra Chrysler e Fiat?

Da un punto di vista strategico è un’operazione che va portata a termine, perchè nel mondo dell’automobile non è immaginabile l’esistenza di inefficienze di scala e, in questo senso, la fusione va nella direzione di ottimizzare i loro processi su scala globale. Fiat e Chrysler, oltre che da un punto di vista societario, dovranno però anche unirsi industrialmente e questa è la parte più ostica. Diciamo che quello di Fiat è un passo importante, ma, ancora più fondamentale, è la condivisione industriale.



Perchè Marchionne la definisce inevitabile?

Immagino che Marchionne si riferisca a considerazioni e fattori di natura finanziaria. Mantenere due imprese quotate, in altrettanti mercati, pur condividendo lo stesso destino, ritengo che sia finanziariamente complesso, anche sotto l’aspetto della gestione del debito.

Quali sono le difficoltà che Fiat incontrerà nel 2013 nell’avvicinamento alla fusione con la casa di Detroit?

Fiat deve assolutamente risolvere il problema Veba, il fondo pensioni del sindacato americano Uaw che rappresenta il vero e unico ostacolo alla fusione. Fra l’altro, qualche giorno fa, il Lingotto si era rivolto a un giudice per l’arbitraggio sul prezzo da riconoscere a Veba e si è vista dare torto e dovrà pagare il doppio rispetto alla sua offerta. Questa operazione si rivelerà, quindi, costosa anche per il fatto che il socio minoritario ha tutto l’interesse a una liquidazione onerosa: voglio, infatti, ricordare che Veba è azionista di Chrysler non per scelta di investimento, ma perchè il credito che vantava il fondo pensioni, attraverso il quale vengono pagati i pensionati di Chrysler, è stato trasformato in azioni quando la casa di Detroit ha fatto default. Questo è sostanzialmente il tema del litigio che ha attraversato l’Atlantico. Ritengo che una volta completata la liquidazione, si possa aprire la nuova quotazione di Chrysler e, quindi, il probabile delisting di Fiat dai mercati europei.



Che impatto avrà questa operazione? 

E’ un’operazione necessaria perchè il sistema Fiat-Chrysler ha bisogno di nuovo capitale, dal momento che il piano industriale del Lingotto non è stato apprezzato dagli analisti, come del resto l’outlook e la crescita del debito. E non scordiamoci che, a oggi, la fusione fra le due case automobilistiche è ancora un’operazione a somma zero, sia dal punto di vista finanziario, sia da quello commerciale. Occorre capitale fresco che può arrivare solo da una Ipo, una quotazione in borsa di Chrysler sul mercato americano che è certamente più generoso sotto il profilo capitalistico.

Come giudica la mossa di Marchionne di non vendere Alfa Romeo?

In una fase pre-Ipo è certamente sensato, perchè, se lo scenario è quello di una quotazione sul mercato americano, è chiaro che questo deve avvenire al prezzo più elevato possibile: occorrerà, dunque, valorizzare al massimo tutti gli asset esistenti all’interno del sistema e, fra questi, Alfa Romeo è un pezzo interessante, non fosse altro per il prestigio del marchio.

Quali saranno gli effetti della fusione sugli stabilimenti italiani del marchio di Torino?

E’ un’operazione strettamente finanziaria e la fusione, così come viene descritta dagli organi di stampa e dai comunicati del Lingotto, non è un fattore né positivo, né negativo. Il discorso cambierebbe se lo scenario di fusione fosse, soprattutto, di tipo industriale. Se gli arbitraggi produttivi fra un’area e l’altra del mondo diventeranno continui e, se le fabbriche italiane non aumenteranno le esportazioni, come in Germania, lo scenario non sarà necessariamente positivo.

E la non cessione di Alfa Romeo gioverà alle fabbriche sul nostro territorio?

Alfa Romeo è un marchio che si vorrebbe rilanciare, ma, per ora, è accaduto solo a parole. L’ultimo piano industriale rivela l’ambizione di Marchionne di voler competere nell’alto di gamma. Ricordo che molti generalisti, come Nissan con Infinity e Toyota con Lexus, hanno avuto la stessa idea che, in seguito, non si è rivelata particolarmente felice. Alfa Romeo è un marchio che ha un potenziale e una riconoscibilità importanti, ma necessita di capitali consistenti per mettere in atto questa strategia. Al momento, non vedo possibilità per uno sforzo industriale e di capitale tanto ambizioso.