Il Commissario all’Industria dell’Unione Europea, Antonio Tajani, presenterà oggi il piano “Cars 2020”, volto al rilancio dell’industria europea dell’automotive attraverso un’iniezione di oltre due miliardi di euro da elargire tra il 2014 e il 2020 alle aziende impegnate nella ricerca nel campo delle vetture ecologiche ed elettriche. Lo stesso piano dovrebbe inoltre prevedere altre somme, messe a disposizione dalla Banca europea per gli investimenti, da girare anche alle aziende di dimensione più ridotta, mentre altri fondi potrebbero essere indirizzati all’occupazione, in particolare al finanziamento degli ammortizzatori sociali. Come spiega a ilsussidiario.net Marco Saltalamacchia, già presidente di Bmw Italia, consulente strategico ed esperto del settore automotive, il piano che verrà presentato oggi «rappresenta la nuova edizione del ciclo di incentivi all’industria che la Comunità europea normalmente prevede. Il precedente piano riguardava il periodo 2007-2013, dunque questo nuovo programma andrà a coprire il periodo che va dal 2014 al 2020». La Comunità europea ha infatti «già stanziato una quantità significativa di denaro destinato allo sviluppo della ricerca e della tecnologia in settori innovativi, in particolare su tutto ciò che riguarda la mobilità sostenibile in tutte le sue diverse declinazioni. A tal riguardo, bisogna dire che oggi viviamo una sorta di paradosso».
Di che tipo?
Se ci pensiamo, da un lato il modo nel quale un cittadino fa le proprie scelte riguardo la mobilità è uguale a quello utilizzato vent’anni fa, però dall’altro sappiamo bene che esistono tecnologie che permetterebbero un’ottimizzazione del problema del trasporto in modo ottimale. Il fatto è che queste tecnologie già esistenti non vengono al momento messe a disposizione. Potremmo dunque vedere il problema della mobilità sotto una luce differente, vale a dire quella della domanda e dell’offerta di mobilità.
Cosa intende?
Una domanda di mobilità di un qualsiasi cittadino può ricevere diverse risposte di mobilità, da quella privata (la propria vettura), quella semi-privata (per esempio il taxi) o quella pubblica (il trasporto pubblico). Chiaramente i parametri, per esempio di tempo e costo, variano a seconda della modalità scelta, quindi avere a disposizione una maggiore informazione di questo tipo in modo continuo permetterebbe senza dubbio una gestione molto più razionale ed economica del traffico: è sostanzialmente questa la logica a cui generalmente si ispira l’intervento della Comunità europea, stimolando su tutto il territorio del Continente lo sviluppo di progetti e innovazione destinati a quest’area. Questi nuovi fondi, quindi, mostrano una certa continuità con quanto fatto fino a oggi.
Come reagirà secondo lei l’industria dell’auto?
Purtroppo abbiamo un’industria automobilistica che è vittima delle proprie economie di scala e che tende quindi a portare avanti una innovazione estremamente focalizzata al miglioramento della tecnologia esistente ma rivolta poco alle nuove tecnologie. La Comunità europea fa quindi benissimo a stimolare un vero salto tecnologico, cercando un cambio di rotta molto forte rispetto alla mobilità che oggi conosciamo.
Questi aiuti previsti soddisfano gli interventi richiesti in passato da Marchionne?
Non sono proprio gli incentivi che Marchionne chiedeva, anche se male di certo non faranno. La Commissione europea, non potendo ovviamente finanziare la produzione industriale, si concentra principalmente su ricerca, sviluppo e innovazione. L’aiuto alla rottamazione, che Marchionne chiede da tempo, non deve avvenire attraverso la monetizzazione di questa, ma mediante lo sviluppo di un mercato che chiede vetture di nuova tecnologia e, di conseguenza, finanziando lo smantellamento di quelle più vecchie. Senza dubbio è giusto che sia così perché, se da una parte gli aiuti sono mirati a mettere fine a una certa realtà, dall’altra l’azienda deve impegnarsi a creare una valida alternativa per far sì che questo possa accadere.
Quali sono i costruttori che potranno beneficiare maggiormente di questi aiuti?
A lungo andare non è ovviamente immaginabile che aziende come quelle generaliste europee possano sopravvivere sul mercato globale senza porsi alla frontiera della tecnologia. Oggi sappiamo che i più forti investitori in ricerca e sviluppo sono il gruppo Toyota e quello Volkswagen, tanto per cambiare. Bisogna però notare un altro aspetto.
Quale?
Se parliamo di mobilità elettrica ed elettrico-ibrida, in verità gli investitori stanno rivolgendo la loro attenzione non tanto ai costruttori di auto tradizionali, quanto ai nuovi operatori come Tesla in California.
Come mai?
Perché quegli investitori che credono al salto tecnologico di cui parlavamo in precedenza sono dell’idea che a compierlo non saranno quei costruttori terribilmente vincolati da un apparato industriale pesante che assorbe continuamente risorse, ma i nuovi operatori che, essendo svincolati da questo carico industriale, saranno liberi di muoversi più agevolmente sul mercato.
(Claudio Perlini)