L’inchiesta di Ettore Livini su Repubblica di ieri ha scoperchiato un vaso di Pandora. La compagnia di bandiera ha infatti dei seri problemi per arrivare alla prossima estate. Solo cinque anni fa Le Monde riportava tali dichiarazioni circa l’ex vettore di bandiera ancora pubblico: “Alitalia ha bruciato 400 milioni di euro nell’ultimo periodo e la disponibilità finanziaria è scesa sotto i 250 milioni di euro”. Come riporta Livini, oltre al dato preoccupante di 735 milioni di euro di perdite, vi è anche il fatto che la cassa si “è assottigliata a 300 milioni di euro”. Vi sono dunque forti analogie tra la situazione attuale e quella dell’Alitalia pubblica, nonostante il grande lavoro di riduzione dei costi effettuato nella scorsa gestione sotto la guida dell’amministratore delegato Rocco Sabelli. Ricordiamo che solo otto mesi dopo l’articolo di Le Monde la compagnia si ritrovò a portare i libri in tribunale con il susseguente salvataggio a carico dei contribuenti che costò svariati miliardi di euro.



Problemi di costi? Alitalia non ha più problemi di costi, come appena ricordato, nonostante non sia ancora ai livelli dei competitor low cost, ha tuttavia dei costi operativi inferiori alle altre compagnie tradizionali. Da questo lato è certamente un’evidenza il rinnovo della flotta che ha portato la compagnia ad avere una delle flotte più giovani, ma comunque con un’età media degli aerei doppia rispetto a Ryanair.



Da dove derivano allora i problemi? In primo luogo, bisogna ricordare che la congiuntura internazionale è molto complicata e vista la recessione italiana, più forte che negli altri paesi, l’effetto sui conti del vettore italiani è sicuramente di maggiore impatto. Il punto di debolezza principale deriva tuttavia dal “Piano Fenice” che, pur con qualche revisione, è stato troppo incentrato sulle rotte nazionali ed europee. Nel mercato a lunga percorrenza, il vettore italiano non ha la dimensione adatta e soffre la concorrenza dei vettori che hanno dimensioni ben più grandi e una quantità di aeroplani molto superiore. Nel mercato a corto raggio, invece, la concorrenza è spietata da parte dei vettori a basso costo. Qui non è solo Alitalia a soffrire, come dimostrano i tagli effettuati da Air France-Klm, Lufthansa e Iberia.



Il Piano Fenice prevedeva una forte presenza sul mercato a corto raggio e debole nel lungo raggio: un errore strategico che non è possibile cambiare in poco tempo, poiché richiede l’acquisto di nuovi aeromobili a lungo raggio che sono eccessivamente cari. Quindi si può ben dire che l’errore madre fu quello di non accettare l’offerta francese che prevedeva 5,2 miliardi di euro d’investimenti con un taglio di 3.000 dipendenti a fronte degli oltre 10.000 effettuati in seguito all’annessione con AirOne.

Cosa fare adesso? Le soluzioni paventate passano attraverso due strade principali: l’annessione da parte di un vettore straniero, chiaramente sottocosto rispetto a quanto offerto cinque anni or sono; la soluzione pubblica, con l’entrata di Cassa depositi e prestiti nel capitale dell’azienda. Il Fondo strategico italiano, branca di Cdp, “non è oggi tuttavia interessato ad Alitalia”, secondo le parole del suo Amministratore delegato Giovanni Gorno Tempini. Oggi no, ma tra tre settimane, quando finirà la clausola di lock-up degli imprenditori italiani?

A quel punto, in piena campagna elettorale, c’è da scommettere che Alitalia tornerà a essere la “patata bollente” in un clima elettorale rovente.