Fanno ancora discutere le parole di Marchionne pronunciate tre giorni fa a Venezia a margine del Consiglio per le Relazioni Italia-Usa: “Siamo pronti a fare qualsiasi cosa serva a utilizzare i nostri stabilimenti in Italia e in Europa” ha detto l’amministratore delegato del Gruppo Fiat-Chrysler, chiarendo che ”la nostra rete di produzione è a disposizione di qualsiasi costruttore”. Un’idea certamente innovativa, di “plant sharing”, un modo efficace per reagire al calo della domanda nel Vecchio Continente e al rischio di un crollo del mercato europeo sotto i 10 milioni di auto vendute, contro gli attuali 13 milioni, come conseguenza di un’ipotetica disintegrazione dell’euro.



Il pensiero va istintivamente a Mazda, la casa giapponese che più ha la necessità di produrre in loco i modelli che vende in Europa, non avendo ancora un suo impianto nel Vecchio Continente, a differenza di quasi tutti gli altri costruttori concorrenti. Proprio Mazda, inoltre, ha recentemente annunciato un accordo di produzione industriale con il Lingotto che riguarda, innanzitutto, lo sviluppo di un nuovo spider a trazione posteriore per i marchi Mazda e Alfa Romeo, basato sull’architettura del modello MX-5 di prossima generazione. La vettura, secondo il memorandum d’intesa tra le due case, entrerebbe in produzione nel 2015. Le prospettive dell’accordo, tuttavia, si estendono anche a una collaborazione più ampia in Europa, dove la società nipponica, che è già quinta sul mercato giapponese in termini di vendite, punta a crescere nei prossimi anni. Ovvio, pertanto, che Mazda sia la prima potenziale beneficiaria di questa disponibilità di Marchionne, il quale precisa, però, “Ho detto chiunque, anche altri stranieri, non solo Mazda”.



 

Occorre ricordare che l’ad del Lingotto è attualmente anche presidente dell’ Acea, l’associazione europea dei costruttori di auto. Note sono le sue posizioni sul problema che affligge il mondo dell’auto in generale, cioè quello di un eccesso di produttività del settore che, in Europa, supera il 20%.  Da tempo, infatti, Marchionne sta premendo sui “colleghi”, in particolare quelli tedeschi, per un accordo continentale sull’eliminazione della sovraccapacità produttiva. È probabile, pertanto, che l’apertura degli stabilimenti italiani alla produzione di auto giapponesi possa trasformarsi pure in uno strumento di pressione assai efficace sui tedeschi, per discutere un piano di chiusure distribuito e coordinato, sul modello di quello che l’industria siderurgica europea fece negli anni Ottanta.



La condivisone degli impianti, oltretutto, è un’idea che “sta in piedi” perfettamente anche dal punto di vista industriale ed è già praticata con soddisfazione dalla Fiat in Polonia, nello stabilimento che produce contemporaneamente la 500 e la Ford Ka. E del resto, non si discosta neppure troppo dalla scelta di Marchionne di provare a produrre a Mirafiori i Suv da vendere negli Usa, ovvero da un’operazione che serve a saturare l’eccesso di capacità produttiva italiana. Insomma, nella peggiore delle ipotesi, dovesse pure andar male questo tentativo di “plant sharing”, nessuno potrebbe dire a Marchionne di non aver provato fino in fondo a salvare gli stabilimenti Fiat in Italia.