Spazientite e amareggiate, le 300mila persone che avevano acquistato un biglietto WindJet per volare fino a ottobre restano a terra, a seguito del fallimento della trattativa di acquisizione della compagnia low cost da parte di Alitalia. L’Enac, in collaborazione con i vettori nazionali Alitalia, gruppo Meridiana Fly-Air Italy, Livingston, Blu Panorama e Neos e unitamente alla compagnia, “ha coordinato la rimodulazione dei voli in modo tale che venga garantita la riprotezione dei passeggeri in possesso di biglietti WindJet“. Il blocco, scattato alla mezzanotte di due giorni fa, ha però creato infiniti disagi e suscitato più di qualche perplessità, a cominciare dal periodo scelto per la rottura delle relazioni con la compagnia di bandiera italiana, definito “di franchigia”, previsto dalla Regolamentazione del settore del trasporto aereo. Un blocco che inoltre rimette in discussione l’affidabilità, la capacità di erogare adeguati servizi e la tutela nei confronti del consumatore da parte delle compagnie low cost. Ne parliamo con Andrea Baracco, vicepresidente di AssoLowcost, associazione punto di riferimento per aziende, istituzioni, media e consumatori in relazione ai temi del Low Cost di Qualità.
Parliamo proprio della “filosofia” che sta alla base del low cost. Come e quanto ha preso piede in Italia?
I vettori aerei low cost sono stati senza dubbio i primi a introdurre questo concetto. Basti pensare a ciò che sono oggi Ryanair o EasyJet, veri e propri colossi del trasporto aereo. In Italia, ma anche in altri Paesi, altri vettori non sono stati in grado di replicare i risultati di queste compagnie internazionali, dimostrando quindi che mettere in pratica il concetto low cost non è affatto cosa semplice.
Quali sono i principali vantaggi per il consumatore?
Il principale vantaggio, in particolare per i vettori aerei, è ovviamente quello del risparmio. Ci si concentra maggiormente sull’aspetto dello spostamento, da un punto A a un punto B, e un po’ meno su quello di servizio.
Quali invece i maggiori rischi?
Se si viaggia con vettori internazionali i rischi di restare a terra o di non ricevere un servizio adeguato sono praticamente pari a zero. Al contrario, se si opera con vettori più piccoli, più nazionali o di breve raggio, chiaramente possono esserci in alcuni casi delle situazioni complicate. Non dimentichiamo però che ci sono altri piccoli operatori, anche in Italia, che invece vanno molto bene e forniscono adeguati servizi senza alcun tipo di problema.
Come giudica il caso WindJet?
Imprese che rischiano il fallimento esistono in ogni settore. Abbiamo avuto dei casi eclatanti nel settore alimentare, come Cirio e Parmalat, e in ciascuno si tratta di business molto complicati da gestire. Quello dei vettori aerei è ovviamente ancora più complicato, quindi non è facile poter fornire un certo tipo di servizio dovendo anche far fronte a dei costi altissimi, quali sono quelli relativi agli aerei.
Quali altri modelli di business di questo tipo possono essere pensati?
Attualmente esistono nuovi modelli di consumo che ovviamente derivano dalla situazione economica non solo italiana ma di tutto il mondo occidentale. Questa crisi, che arriva dopo 65 anni di sviluppo economico crescente, mette in gioco modelli di business che, in alcuni settori piuttosto che in altri, è necessario riconsiderare. Un tempo si parlava di società affluente, concetto oggi profondamente modificato: basti pensare all’attuale attenzione nei confronti dell’ambiente che solamente 5 o 6 anni fa era totalmente differente. Questo comporta quindi, anche nell’ottica del trasporto, delle nuove visioni rispetto a quelle a cui siamo abituati.
E’ possibile dunque pensare a una mobilità low cost che sia anche sostenibile?
Certo, basti pensare che la mobilità low cost più sostenibile che esiste è rappresentata dall’utilizzo dei mezzi pubblici. In quest’ottica deve quindi esserci una sempre maggiore integrazione tra mobilità individuale e pubblica, senza dimenticare che esistono formule, come il car sharing, che garantiscono una mobilità individuale pur essendo nella maggior parte dei casi gestite da società pubbliche.
Cosa può dirci della diffusione di soluzioni proprio come il car sharing?
Credo che il car sharing debba presto diventare un caso di studio perché purtroppo in Italia fatica a diventare uno strumento normale di spostamento. Questo anche perché esiste una modalità di fruizione che oggi tende a non favorirlo.
Vale a dire?
In particolare il fatto di dover prendere la vettura in un determinato parcheggio e di doverla riportare nello stesso luogo al termine dell’utilizzo fa sì che i cittadini non siano così motivati a utilizzarlo. Fortunatamente esistono già delle formule più evolute, più dinamiche, che possono per esempio essere anche gestite via smartphone, che permettono un accesso al car sharing in maniera più diffusa, veloce e meno burocratizzata come invece è oggi.
Come mai anche il mercato dell’auto elettrica stenta a decollare, almeno nell’immediato?
Riguardo a questo vorrei fare una importante precisazione. Innanzitutto bisogna chiarire che siamo solamente agli albori dell’auto elettrica e che la commercializzazione di veicoli, iniziata praticamente quest’anno, è ancora tutta da verificare. In tal senso credo quindi che si stiano commettendo errori di valutazione e che per la prima volta stiamo parlando di un’economia di filiera anziché di prodotto.
In che senso?
Giudicare il lancio dell’auto elettrica con la visione di un’economia di prodotto, con la quale si inserisce un modello sul mercato in attesa che a breve dia dei risultati, non è possibile. Questo perché c’è la necessità di avere tutta una serie di filiere, come quella dell’assistenza, della ricarica e così via che devono lavorare costantemente lungo una stessa strada. Il Decreto Sviluppo recentemente approvato contiene diversi punti relativi all’incentivazione della mobilità elettrica, attraverso agevolazioni riguardanti sia i veicoli che le infrastrutture, quindi è chiaro che un reale progetto è partito solamente da pochissimo tempo, almeno dal punto di vista legislativo. Sarà dunque opportuno misurare e giudicare eventuali risultati non prima dei prossimi due anni.
(Claudio Perlini)