Un dettagliato piano di ridimensionamento degli aeroporti italiani, elaborato dal ministro dello Sviluppo Corrado Passera in collaborazione con l’Enac, l’Ente nazionale per l’aviazione civile, potrebbe essere discusso già questo venerdì durante il Consiglio dei ministri. Un progetto che dovrebbe prevedere nuove infrastrutture e un deciso taglio al numero degli aeroporti attualmente esistenti, con il quale “gli investitori avranno la certezza di poter decidere su cosa e quanto investire nel settore – ha detto il presidente dell’Enac, Vito Riggio – mentre il Paese avrà modo di pensare a quali infrastrutture dovranno servire gli scali più importanti”. Tutti gli altri aeroporti passeranno invece nelle mani degli enti locali che decideranno se vorranno impiegare soldi pubblici per tenerli in vita. IlSussidiario.net ha chiesto un commento a Oliviero Baccelli, professore di Economia dei trasporti presso l’Università Bocconi.



Come giudica questo piano di ridimensionamento?

Un progetto del genere è assolutamente condivisibile e di primaria importanza. Troppo spesso, nel corso degli ultimi anni, numerose incertezze di pianificazione hanno di fatto bloccato importanti investimenti e opportunità. Infatti, non credo che questo nuovo piano preveda solamente tagli e razionalizzazioni.



Come mai?

Perché il punto principale del progetto sembra essere in particolare la creazione degli scali di Viterbo, nel Lazio, di Grazzanise in Campania e un eventuale sviluppo di quello di Brescia, ovvero vere e proprie valvole di sfogo che attualmente rappresentano l’elemento più considerevole. Tutti gli altri aspetti, invece, dalla prevalenza del cargo fino al ruolo delle low cost, dovranno essere valutati con molta attenzione alla luce di una rapida evoluzione del sistema del trasporto aereo. Il piano è quindi importante, ma è molto difficile essere deterministi riguardo un tema che richiede costantemente adattamenti e strategie di breve periodo.



Secondo lei, quanti e quali aeroporti rischiano la chiusura?

Sono convinto che alla fine nessun ente locale sceglierà di chiudere il proprio aeroporto. I costi di gestione di un piccolo aeroporto non sono particolarmente proibitivi, quindi credo che Regioni e Comuni riusciranno sempre a trovare un modo per finanziare e sanare il bilancio della società di gestione. A mio giudizio nessuna provincia avrà il “coraggio” di chiudere un aeroporto, che tra l’altro presenta sempre delle altre funzioni, come il supporto alla Guardia Forestale, alla Guardia di Finanza, la Marina o ai servizi antincendio.

Se proprio dovessero esser chiusi degli scali, in quali zone d’Italia interverrebbe?

A mio avviso si potrebbe intervenire in Emilia Romagna, quindi nell’area di Parma, Bologna, Forlì e Rimini, dove senza dubbio vi è un eccesso di offerta aeroportuale. Lo stesso anche in Calabria, dove le tre società di Crotone, Lamezia Terme e Reggio Calabria dovrebbero essere decisamente razionalizzate. Resto però dell’idea che non esistono errori o situazioni estremamente gravi da dover correggere immediatamente: più che altro il governo dovrà con decisione ridimensionare le aspettative di tanti aeroporti e Regioni che invece continuano a investire e svilupparsi. Più che chiudere gli aeroporti, dunque, bisognerebbe individuare modelli gestionali realmente efficaci e adatti alla grandezza e alle funzioni di un particolare scalo.

Il presidente dell’Enac, Vito Riggio, ha detto che con questo piano “gli investitori avranno la certezza di poter decidere su cosa e quanto investire nel settore”. Cosa ne pensa?

Riguardo questo aspetto risultano cruciali i contratti di programma, sottoscritti dalla singola società di gestione e l’Enac, e poi validati dai ministeri competenti. Uno dei grandi problemi italiani, infatti, è sempre stato quello dei contratti degli aeroporti principali: solo per fare un esempio, la società di gestione dell’aeroporto di Milano ha negoziato il contratto di programma per diversi anni, eppure è stato pubblicato solo recentemente in Gazzetta Ufficiale. Anche Aeroporti di Roma, di gran lunga il contratto di programma principale in Italia, ha davanti un iter ancora molto lungo. Sarà dunque molto importante vedere in che modo il governo interverrà su questo aspetto e se effettivamente riuscirà ad attrarre investitori internazionali, assolutamente fondamentali per un eventuale sviluppo.

 

(Claudio Perlini)