Quest’estate si contraddistingue per il caldo eccezionale che però ha prodotto pure uno strano effetto: quello del ritorno della memoria in ambiti dove si pensava fosse andata perduta. Trovo abbastanza singolare che si scopra solo ora, dopo quasi 20 anni di denunce, che le acciaierie Ilva non siano proprio il massimo a livello ambientale. Nel campo dell’aviazione commerciale, invece, ci si è improvvisamente “accorti” dell’urgenza di misure che permettano al settore di poter continuare a esistere con i colori nazionali. E non è che di colpo si sia svegliato qualche giornalista in vena di scoop ferragostani, ma le stesse autorità che dovrebbero avere la funzione di vigilare e regolare il settore, quando sono anni che esperti di questo campo denunciano il problema… ovviamente inascoltati. E adesso che la cosa viene “scoperta” il rischio è quello di non trovare più nessuna via di uscita alla problematica.



Come giustamente sottolineato da Ugo Arrigo su queste pagine, tutta la faccenda Windjet (che ha fatto “scoppiare” il bubbone) è un’altra evidentissima dimostrazione che in Italia la parola sistema-Paese non esiste proprio. Diciamocelo chiaramente: uno Stato che si rispetti dovrebbe comportarsi come arbitro dell’economia, non soffocarla o peggio indossare i panni dell’amico degli amici (vedi privatizzazione di Alitalia). Nel caso dei trasporti dovrebbe esercitare un controllo serio, emanare leggi (o far rispettare quelle che già esistono) che regolino il settore nella sua funzione di cardine della mobilità dell’individuo. Invece qui è accaduto tutto l’opposto: le convenienze politiche (pardon partitiche) hanno preso il sopravvento sul sistema Paese.



Basti pensare, per iniziare questo sgradevole “rosario”, al caso scoppiato con l’apertura di Malpensa nel 1998, mirabilmente descritto dalla giornalista Giovanna Corsetti in una memorabile puntata del programma “La storia siamo noi”. In un colpo solo l’inefficienza (politica e non) italiana (con l’aiuto di certi poteri Ue) privò il Paese non solo di un hub strategico, ma pure tagliò le gambe definitivamente a una fusione tra due vettori (Alitalia e Klm) che avrebbe portato alla nascita della più grande compagnia aerea europea di cui l’aeroporto varesino avrebbe costituito un punto importante (pensate: avevamo un hub al confine tra il nord del Continente europeo e il bacino del Mediterraneo). Alitalia da quel colpo non si riebbe più e iniziò un inesorabile declino che purtroppo continua a perpetrarsi. E Malpensa si trasformò nella Gioia Tauro del Nord, una vera e propria cattedrale nel deserto.



Altra perla di questa serie costituisce l’abnorme sviluppo che il settore low cost ha goduto nel nostro Paese e che ha riguardato soprattutto il caso Ryanair: ormai è cosa risaputa ai più come questo vettore abbia potuto espandersi anche a causa della cecità delle autorità preposte al controllo del settore. Sul sito dell’Assaereo, ente che rappresenta le compagnie aeree italiane, si legge che “attraverso elementi ben circostanziati la società Meridiana fly-Air Italy ha dimostrato, numeri alla mano, l’incredibile vantaggio competitivo di cui gode il vettore irlandese per l’effetto combinato dell’esenzione dalle addizionali comunali, di prezzi stracciati per i servizi di assistenza a terra e dei contributi commerciali per ciascun passeggero trasportato. Questi accordi, che in prima istanza promettevano grandi vantaggi, alla prova dei fatti si sono dimostrati contratti capestro e assolutamente insostenibili per le stesse società di gestione degli aeroporti.

Nel caso dell’aeroporto di Verona, oggetto del ricorso di Meridiana fly ma discorso analogo può essere fatto anche per altri scali, è accertato che a ogni passeggero di Ryanair corrispondono perdite. Ma l’effetto moltiplicatore è dato dal fatto che l’ingresso di Ryanair su un aeroporto determina la fuga forzata da parte di tutte le altre compagnie che, non avendo accesso ad agevolazioni comparabili, sono costrette a chiudere le rotte tradizionali (anche intercontinentali per il venir meno del necessario fideraggio) che invece garantivano la sostenibilità economica degli stessi scali. In tale contesto già di per sé inquietante, il paradosso è che tali agevolazioni sono finanziate dagli enti pubblici azionisti delle società di gestione e quindi, in ultima istanza, dai cittadini contribuenti.

L’evidente distorsione del mercato non è limitata ai finanziamenti concessi dagli aeroporti, tutt’altro. Continuando a utilizzare strumentalmente la sua nazionalità irlandese, Ryanair persevera nel non applicare le leggi italiane in materia fiscale, contributiva (in Irlanda è del 12%, mentre in Italia è del 37%), previdenziale e addirittura le norme comunitarie a tutela dei diritti dei passeggeri (come dimostra la gestione del volo cancellato Kos-Bari dello scorso 27 luglio). Come riportato dagli organi di stampa, l’ispettorato del lavoro di Bergamo ha già contestato a Ryanair una evasione contributiva di 12 milioni di euro, sono in corso accertamenti della Guardia di Finanza per un’evasione fiscale dal 2005, stimata in circa 500 milioni di euro”.

C’è da aggiungere che già l’Alitalia avente come AD Mengozzi aveva fatto notare questo tipo di problematiche: correva l’anno 2000. Inoltre, anni dopo l’allora sindacato Sulta (oggi Usb) presentò un esposto sulla questione dell’inquadramento in generale del personale Ryanair basato in Italia. In un far west come quello descritto è lapalissiano che alla fine i casi Windjet si moltiplichino. Ma cosa si potrebbe fare per uscire da questa situazione?

Semplice: iniziare a essere un Paese serio, non uno deve esistono 108 aeroporti (di cui un’ottantina civili) su di un territorio della lunghezza di appena 1500 km. Già questa è un’assurdità gigantesca, a parer mio il fatto che ha scatenato la distonia Ryanair complice anche una Nazione dove si straparla di mercato, di privatizzazioni come fossero la panacea di tutti i mali, ma poi ci si accorge che se nel mercato non ci sono regole e alle privatizzazioni non ne corrispondono altrettante, il settore dei trasporti rischia (come altri campi) di finire di parlare italiano.

“L’esperienza dimostra che non è possibile lasciare il settore delle ferrovie senza nessun controllo -affermava già nel 1905 (quando parlare di aviazione civile era ovviamente prematuro) l’allora Presidente degli Stati Uniti Teodoro Roosevelt – “la mancanza di controlli offre un campo fertile agli abusi, alle astuzie agli scandali senza pietà, né scrupoli della loro amministrazione”. Questo ultimo pensiero ci porta inevitabilmente alla questione della privatizzazione di Alitalia da parte di Cai, vettore implicato anche nel mancato “salvataggio” di Windjet, ma tutta questa problematica merita una nota a parte.

Di certo è che, da Paese all’avanguardia dell’aviazione, cosa che ha indotto una tradizione di know how aereonautico veramente invidiabile, da una nazione la cui compagnia aerea era uno dei vettori appartenenti al club delle 8 aerolinee veramente globali con un network che toccava i 5 Continenti, l’Italia rischia di trasformarsi in mero gestore dei bar negli aeroporti della Penisola.