Sergio Marchionne è da poco arrivato a Torino dagli Stati Uniti a bordo del suo aereo privato. L’amministratore delegato di Fiat dovrà prepararsi a un appuntamento quanto mai importante: sabato 22 settembre è infatti atteso insieme al presidente del Lingotto, John Elkann, a Palazzo Chigi dove incontrerà il premier Mario Monti e i ministri Elsa Fornero e Corrado Passera. Il governo scende dunque in campo e chiede chiarezza. La Fiat ha da poco annunciato che i 20 miliardi di investimenti promessi con il progetto Fabbrica Italia non saranno niente di più di quelle slides presentate due anni or sono, mentre le migliaia di dipendenti dei quattro principali stabilimenti italiani (Pomigliano, Mirafiori, Cassino e Melfi) tremano all’idea di dover vivere in prima persona un nuovo incubo stile Termini Imerese. Quale impianto rischia di più? Lo chiediamo a Pierluigi Bonora, Vice Caporedattore de Il Giornale.



Secondo lei quali sono gli stabilimenti Fiat a maggiore rischio chiusura?

A luglio, durante la presentazione della 500L a Torino, Marchionne aveva ipotizzato la chiusura di un impianto nel caso in cui la situazione fosse ulteriormente peggiorata, senza ovviamente specificare quale dei quattro rimanenti. A mio giudizio l’indiziato principale è Mirafiori, uno stabilimento attualmente molto debole che entro l’anno perderà anche le produzioni di Lancia Musa e di Fiat Idea.



Cosa produrrà quindi?

In attesa dei due Suv compatti promessi da Marchionne, targati Jeep e Fiat, continuerà la produzione dell’Alfa Romeo Mito, un modello però non più così nuovo. In questo momento Mirafiori è una sorta di “cattedrale nel deserto”, uno stabilimento enorme sfruttato solo in minima parte.

Cosa può dirci dello stabilimento di Cassino?

Gli impianti di Cassino lavorano per la produzione di Lancia Delta, Fiat Bravo e Alfa Romeo Giulietta, modelli anche in questo caso alquanto datati. Attualmente lo stabilimento non possiede alcuna nuova mission, quindi sono in molti a chiedersi che cosa potrà avvenire in futuro. 



C’è poi Melfi con il caso della Nuova Punto.

Da sempre lo stabilimento di Melfi produce la Fiat Punto. La produzione del nuovo modello continua però a slittare senza che l’azienda riesca a definire una data precisa. Nel caso in cui il modello non dovesse vedere la luce si potrebbe delineare una situazione veramente complessa. 

A Pomigliano è invece andata in scena l’ultima protesta.

Lo stabilimento campano, in cui Marchionne ha investito 800 milioni di euro, produce la Nuova Panda e la Panda 4×4, la “miglior Panda di sempre”, a detta dell’amministratore delegato di Fiat. Proprio grazie a questi investimenti, alla produttività e alla fama guadagnata (Marchionne lo ha definito lo stabilimento più innovativo del gruppo Fiat nel mondo), probabilmente è l’impianto che al momento è più al sicuro. Come anche quello Sevel di Val di Sangro, vicino a Chieti, dove vengono prodotti i veicoli commerciali frutto della joint venture tra la Fiat e il gruppo francese Peugeot-Citroen.

Marchionne ha assicurato che la Fiat resterà in Italia. Come sarà possibile?

Sarà interessante vedere se andranno a buon fine i progetti di condivisione di uno di questi stabilimenti con un altro costruttore, come Mazda. Nel mese di luglio molti ingegneri della casa giapponese hanno visitato lo stabilimento di Pomigliano dove la Mazda, che sta cercando disperatamente una location in Europa, potrebbe produrre un nuovo modello.

E’ realistico pensare che Marchionne possa spostare la produzione di alcuni modelli Chrysler in Italia per rilanciare alcuni stabilimenti?

E’ difficile da dire. Quello che è certo è che attualmente gli stabilimenti americani della Chrysler, lavorando al massimo delle loro possibilità, risultano saturi. Però, prima di ipotizzare futuri progetti, bisognerà capire cosa conviene realmente alla Fiat. E’ necessario poi chiedersi che cosa potrà produrre Marchionne in Italia da esportare, oltre i due Suv promessi. Forse lo scopriremo solamente dopo l’incontro di sabato prossimo con Monti.

Cosa si aspetta dal confronto a Palazzo Chigi?

Il governo potrebbe intervenire con un piano di sostegno al mercato automobilistico nazionale, non pensato appositamente per Fiat. Un piano strutturale per favorire l’acquisto di nuove automobili attraverso bonus o sgravi fiscali che possano concretamente riavvicinare gli italiani all’automobile.

Se uno stabilimento come Mirafiori dovesse chiudere, che cosa accadrebbe?

Si creerebbe un enorme problema di carattere sociale. Dopo quanto accaduto a Termini Imerese, l’Italia non può permettersi di affrontare una nuova simile situazione che vede ancora oggi migliaia di lavoratori in crisi. Se uno stabilimento come Mirafiori dovesse chiudere, l’Italia affronterebbe un gravissimo problema sociale mentre il governo farebbe i conti con un nuovo tema “bollente” che difficilmente potrà riuscire a risolvere.

 

(Claudio Perlini)