Il Consiglio d’amministrazione straordinario di Alitalia di ieri non ha chiarito i dubbi sul futuro della compagnia italiana. Il vettore di bandiera resta in bilico, dopo aver accumulato perdite per circa 800 milioni di euro nei primi quattro anni di attività. Dopo la decisione del Consiglio di Stato di permettere a Easyjet di entrare sulla rotta “d’oro”, la Linate-Fiumicino, la situazione è diventata ancora più critica. L’offerta del vettore low cost inglese sulla nuova tratta dovrebbe raggiungere 600mila posti l’anno con un impatto che dovrebbe ricadere quasi interamente su Alitalia. La concorrenza, quasi certamente, porterà a una caduta del prezzo medio del 20-30%, come si è notato anche nel trasporto ferroviario.



Il 2012 dovrebbe essere l’ultimo degli “anni orribili”, secondo quanto emerso ieri dal Cda. Dalle indiscrezioni sembra che le perdite relative all’ultimo trimestre dello scorso anno potrebbero essere limitate, ma nel complesso il rosso annuale potrebbe superare i 200 milioni di euro. La disponibilità di cassa è limitata, ma “l’operazione MilleMiglia” ha dato un po’ di respiro. Lo scorporo ha permesso ad Alitalia di avere maggiore liquidità e al contempo sembrare più attraente ai futuri investitori. Una cosa infatti pare certa: la cordata d’imprenditori italiani non sembra troppo convinta nel proseguire l’avventura che finora ha portato a perdite di centinaia di milioni di euro.



La compagnia è sicuramente molto più efficiente rispetto alla vecchia Alitalia, ma i problemi derivano e nascono dal “piano Fenice” troppo focalizzato sul mercato domestico. Proprio in questo segmento vi è una sempre più forte concorrenza dei vettori low cost, con la crescita costante di Ryanair ed Easyjet. Lo stesso accade nelle tratte internazionali a breve raggio. Solo nel segmento intercontinentale Alitalia mantiene una posizione di forza relativa, ma il numero di aeromobili a lungo raggio è molto limitato. Il “piano Fenice” prevedeva di acquisire aerei a medio raggio, per soddisfare l’ordine effettuato da AirOne, ma non aveva preso in considerazione un grande rafforzamento della flotta a lungo raggio.



Il risultato, del quale anche il Cda prende atto, è una perdita di centinaia di milioni di euro, per mancanza di sufficienti entrate a coprire dei costi, pur in discesa. Gli amministratori delegati Rocco Sabelli, prima, e Andrea Ragnetti poi, hanno contenuto i costi, ma nulla potevano di fronte a un business così competitivo con i pochi soldi a disposizione.

Il vero errore fu il limitato investimento della cordata degli imprenditori italiani. Poco più di 800 milioni di euro in cinque anni, che nel mondo aeronautico sono una cifra molto limitata. Con queste cifre è possibile comprare circa cinque o sei aeromobili a lungo raggio. Solo per fare un raffronto, si ricorda che l’offerta AirFrance del 2008 prevedeva circa 6 miliardi di euro d’investimento in cinque anni.

La situazione è ora in bilico. Il mercato è in difficoltà con la forte crisi economica e la concorrenza sempre più agguerrita. Anche la Linate-Fiumicino non è più un monopolio. Per uscire dall’impasse ci vuole una ricapitalizzazione e questa potrà essere effettuata solo nel momento in cui sarà chiaro il destino di Alitalia. L’ipotesi principale è quella di vendita ad Air France-Klm. Il colosso franco-olandese è tuttavia in mezzo a una fase di ristrutturazione e ha pochi soldi in cassa. È la ragione per la quale i francesi offrono azioni e non soldi per acquistare il vettore italiano.

Lo scambio azionario è tuttavia difficile, perché i soci italiani vorrebbero molto di più di quanto i francesi offrono. Si susseguono dunque le continue voci di vendita agli “arabi” o dell’entrata di Cassa depositi e prestiti. Un metodo per fare pressione ai francesi, ora che il periodo di lock up sulle quote azionarie è concluso.

Oltretutto vi è un altro fattore d’instabilità: le elezioni politiche italiane. Alitalia rimane un argomento molto sensibile all’opinione pubblica, soprattutto dopo quanto successo cinque anni fa. Probabilmente questa volta il “problema” Alitalia verrà affrontato dopo la campagna elettorale e non durante. Quel che è certo che la soluzione di cinque anni fa ha mostrato tutti i suoi limiti.

La morale della storia? Le privatizzazioni “all’italiana” non risolvono le problematiche.