La peggiore delle ipotesi, ancora una volta, è stata rinviata. I soci, incontrandosi informalmente a Milano, ieri, hanno deciso di dare il via libera al prestito ponte da 150 milioni di euro. L’operazione, cui non prenderanno parte gli azionisti minori, sarà sufficiente per accompagnare la compagnia area fino all’estate. Poi, secondo le previsioni, si troverà nuovamente a secco; e, come se non bastasse, d’ora in avanti dovrà fronteggiare la concorrenza di un nuovo competitor. EasyJet, alla fine, è riuscita a ottenere, dopo numerosi rimbalzi tra l’Antitrust, il Consiglio di Stato e il Tar del Lazio, cinque slot sulla tratta Linate-Fiumicino. Oltretutto, riuscirà a proporre tariffe insostenibili per la compagnia di bandiera: da un minimo di circa 30 euro a un massimo di 36. Cosa ne sarà, a questo punto, della compagnia italiana? Lo abbiamo chiesto a Marco Ponti, professore di Economia applicata al Politecnico di Milano.



Cosa sarebbe accaduto senza il prestito?

Sotto un certo grado di capitalizzazione, non c’è alternativa al portare i libri in tribunale. Non è irrealistico che sussista un obbligo normativo e che il prestito ponte fosse la condizione indispensabile per la sopravvivenza della compagnia, in attesa di esplorare le vie di uscita quali, soprattutto, la vendita.



Alitalia non avrebbe potuto recuperare risorse sul mercato?

Beh, chi presterebbe a un’azienda come Alitalia dei soldi, salvo a tassi insostenibili per la compagnia?

Perché si trova in questa situazione?

C’è più di un motivo: le dimensioni della compagnia sono troppo piccole per poter resistere su tre mercati: nazionale, europeo e internazionale. D’altro canto, non ha altra scelta, a causa della sua flotta “arlecchino”: ovvero, dispone di velivoli a breve, medio e lungo raggio. E, in quest’ultima categoria, possiede sia Boeing che Airbus. Una situazione troppo variegata, che ne complica parecchio l’operatività. Si pensi, semplicemente, alla necessità di doversi rapportare con svariati soggetti per le riparazioni o l’acquisto di pezzi di ricambio. Non è un caso che le compagnie che in Europa vanno bene hanno omogeneizzato la propria flotta.



Nel frattempo, si è aggiunta la concorrenza di EasyJet.

Va detto che, francamente, non si capisce perché il regolatore gli abbia concesso così pochi slot. EasyJet è al limite della convenienza economica. Ad Alitalia, tutto sommato, è andata di lusso. Sta di fatto che si tratta di un colpo non indifferente. Non dimentichiamo, infatti, che ha già subito gli effetti della concorrenza del treno. Fino a poco tempo fa aveva il monopolio su una tratta in cui i passeggeri non avevano alternativa all’areo.

Perché si continua a parlare del licenziamento di Ragnetti?

Effettivamente, è a capo dell’azienda da troppo poco tempo per poter imputare a lui la colpa della situazione. Sta di fatto che l’ultimo incidente, con l’ormai tristemente nota “sbianchettatura”, ha inciso non poco. Inoltre, non ci sono segnali di risanamento in vista. Infine, il subappalto dell’aereo andato fuori pista, ci rivela che anche la questione dell’italianità era una bufala.

Questo non è colpa di Ragnetti.

No, infatti. Dico solo che la politica ha, di fatto, scaricato sui cittadini il salvataggio di Alitalia. Per lo meno, avrebbe potuto salvarla come si deve, invece che dar vita a un’azienda così instabile.

Cosa resta da sperare?

L’ipotesi più auspicabile, ovviamente, è che Air France si decida per l’acquisto. Anche perché gli altri possibili acquirenti di cui si è parlato, non facendo parte dell’Ue, non potrebbero disporre della maggioranza della proprietà.

Perché Air France non ha ancora acquistato?

Penso che, semplicemente, al di là dei suoi problemi di bilancio passati, abbia messo in campo una ben precisa strategia commerciale. Lascia intendere di non essere particolarmente interessata all’acquisto, in attesa che il prezzo scenda. 

 

(Paolo Nessi)