L’attuale crisi di Iberia entra perfettamente, se si può usare questo termine, nella guerra dei cieli che da molti anni è in corso in Europa e che vede una Ue non proprio al di sopra delle parti. Che la vita per un mid-carrier come Iberia fosse impossibile se non inserita in un contesto più globale era fuor di dubbio, dato che a comandare in aria saranno degli oligopoli formati da global-carriers. Ma vediamo di andare per ordine, con un po’ di storia che aiuta a capire lo scenario attuale.
Il salto di qualità la compagnia spagnola lo compie, come tutto il Paese, a partire dal “destape” (lo stappamento) fenomeno che coinvolge l’intera nazione alla sua uscita dalla dittatura franchista. La penisola iberica risorge dopo anni di buio e la Spagna compie un salto di qualità immenso e velocissimo, una rivisitazione del boom italiano degli anni Sessanta, in tempi più brevi. Ma l’anno chiave per Iberia è il 1990, in contemporanea dei giochi Olimpici di Barcellona, vera e propria vetrina per la Spagna moderna. La manovra che viene portata avanti dai vertici della compagnia è una scommessa che si rivela vincente: diventare il vettore di punta del mondo iberoamericano. Cosa che riesce alla perfezione mediante l’acquisizione di diverse compagnie aeree latinoamericane come Viasa, Domenicana de Aviaccion e Aerolineas Argentinas.
Con un “piccolo” rovescio della medaglia, perché le operazioni, oltre a essere poco chiare in molti casi da un punto di vista finanziario, risultano disastrose per le aerolinee coinvolte che vengono o cancellate completamente (tipo la venezuelana Viasa che sparisce nel giro di pochi giorni) o svuotate delle proprie risorse per impossessarsi del traffico e poi fatte fallire (come accade per Aerolineas Argentinas, che fallisce nel 2001 e viene in seguito rinazionalizzata). Insomma, un pesce grande che si mangia i piccoli.
I massivi licenziamenti provocano reazioni nei paesi latinoamericani che arrivano alla proclamazione di un boicottaggio dei prodotti spagnoli, come avvenuto in Argentina. Ma in Spagna queste manovre di acquisizione, che investono non solo il settore aereo ma grosse fette delle economie di queste nazioni, vengono fatte apparire dalla stampa come forme di solidarietà verso i “fratelli” latinoamericani, in aiuto delle loro disastrate economie.
A ogni buon conto, l’operazione Iberia si rivela un successo e la compagnia spagnola, proprio a causa della manovra appena descritta, si ingigantisce attuando la rete di netwok più capillare nel continente latinoamericano. Contemporaneamente ad Air France, Iberia riceve l’ok dall’Ue per un ingente prestito dallo Stato a condizioni di mercato, cioè con un tasso di interesse “commerciale”, cosa peraltro legittima in un sistema in piena “deregulation”. Ma viene da chiedersi allora come mai queste manovre, che da una parte salvano la compagnia transalpina e sviluppano quella iberica, non vengono permesse nel 1998 all’Italia (che aveva operato il prestito a condizioni ben più gravose per Alitalia che non le sue consorelle europee) e anzi, considerando la stessissima operazione “aiuto di Stato”, cosa che in pratica condanna la compagnia italiana al fallimento, silura il progetto Malpensa e la fusione con Klm che avrebbe portato alla creazione del più grande vettore aereo europeo. Ma c’è da dire che dietro Iberia e Air France ci sono i rispettivi Governi che le appoggiano incondizionatamente nell’ambito Ue, calcolando il grande valore strategico che rivestono le compagnie di bandiera. Dietro Alitalia c’è invece un mondo politico nazional/regional/comunale che invece dà priorità ai propri interessi rispetto a quelli della nazione.
I bilanci della compagnia spagnola registrano una serie di rendiconti positivi, nonostante il suo costo/lavoro sia il più alto in Europa. Nel 1999 entra a far parte dell’alleanza One World, che raggruppa tra gli altri British Aiways e American Airlines: ha così inizio l’operazione di fusione con il vettore inglese che, iniziata anni fa con il reciproco scambio di quote azionarie, si conclude nel 2010 con la totale acquisizione da parte della holding International Airlines Group, insieme a British, che raggruppa il Banco Financiero y de Ahorro S.A., con una quota del 12,087% e i fondi di investimento Black Rock Inc (4,934%), Schroders Plc Holdings (3,191%) Templeton Global Advisors Limited (5,011%) e FIL Limited (1,052%).
Le proteste di questi giorni a causa della minaccia di licenziare 3500 dipendenti e tagli salariali sono in parte dovute all’inversione di tendenza nei bilanci succedutisi alla fusione, nei quali la crisi acutissima in cui versa la Spagna ha una parte non certo secondaria. Ma viene anche il sospetto che questo copra la realtà dei fatti, e cioè che British sia la nuova proprietaria di Iberia. In poche parole che il pesce grande si sia mangiato quello… medio.