L’estate, da sempre la migliore stagione per il trasporto aereo almeno nell’emisfero boreale, si è conclusa con notevoli turbolenze sui cieli del mercato del trasporto passeggeri. Abbiamo commentato in precedenti occasioni sia il provvedimento col quale in agosto il Governo ha cercato di porre un tetto al manifestarsi di tariffe particolarmente elevate in relazione a collegamenti nazionali, come quelli per le isole, che non trovano alternative modali equivalenti, che le sue modifiche più recenti. Inoltre. siamo andati a verificare in base alle rilevazioni dell’Istat se effettivamente si può parlare di un caro volo generalizzato e la risposta è risultata negativa.



Archiviato all’apparenza il tema del caro voli ecco tuttavia emergere una tematica ulteriore che ogni tanto riaffiora nel dibattito, quella dei sussidi concessi dai gestori aeroportuali e da organismi territoriali in favore di vettori aerei, solitamente low cost, a titolo di incentivo per lo sviluppo di nuove rotte e l’ampliamento dei traffici. È un tema molto dibattuto, ma che sino a pochi giorni fa era rimasto del tutto privo di rilevazioni ufficiali.



A colmare il vuoto ci ha pensato ora l’Art, l’Autorità di regolazione dei trasporti, presieduta da Nicola Zaccheo, la quale in un comunicato stampa del 20 settembre ha reso noto di aver concluso il monitoraggio sui sussidi erogati dal 2015 al 2022 dalle società aeroportuali alle compagnie aeree come incentivi all’attività di trasporto passeggeri e che, in base ai dati dichiarati e per il solo traffico commerciale, l’ammontare di tali sussidi ha raggiunto nel 2022 il valore più elevato dell’intero periodo, pari a quasi 340 milioni di euro, più del doppio dei 161 milioni del primo anni di rilevazione, il 2015. Il loro ammontare era stato invece di 224 milioni nel 2017 e 279 nel 2019, l’ultimo anno prima che il Covid sconvolgesse il trasporto aereo.



L’Art ha inoltre precisato che il controllo sul tema è svolto “in base alle misure di regolazione fissate dall’Autorità con i suoi modelli per i diritti aeroportuali” le quali prescrivono, in attuazione delle norme comunitarie in materia, obblighi di predeterminazione dei criteri di scelta del beneficiario, rispetto dei criteri di trasparenza e massima partecipazione dei vettori aerei potenzialmente interessati alle incentivazioni. Purtroppo prima dell’Aart i sussidi in oggetto non erano mai stati monitorati, né a livello nazionale, né a livello comunitario, una scelta piuttosto sorprendente se si pensa ai loro potenziali effetti di alterazione della concorrenza in relazione ai vettori eventualmente operanti sulle medesime rotte o sui medesimi aeroporti e che invece di tali sovvenzioni non beneficiano.

In aggiunta bisogna considerare che la rilevazione dell’Art ha avuto per oggetto la voce più rilevante relativa ai sussidi, quella dell’incentivazione diretta all’offerta di voli, ma che essa non è certo l’unica, esistendo anche altre tipologie, come ad esempio i contratti di comarketing coi vettori, finalizzati a promuovere le destinazioni e i loro territori, e sconti o rimborsi sulle tariffe aeroportuali. In conseguenza la cifra di quasi 340 milioni nel 2022 va considerata come un valore minimo, un pavimento, rispetto a una cifra omnicomprensiva che è con certezza più elevata.

A completare l’analisi dell’Art ci ha pensato Leonard Berberi del Corriere della Sera, secondo cui in aggiunta alla cifra comunicata dall’Art: “… l’anno passato gli scali italiani hanno speso ulteriori 220 milioni per trattenere le aviolinee, portando il pacchetto di «benefit» a oltre 550 milioni di euro includendo gli sconti, le attività di collaborazione commerciale, eccetera. Un record. E un tesoretto che, per quanto riguarda la sola «attività volativa» va per la maggior parte a Ryanair (oltre 63%), quindi a Wizz e easyJet (circa 15% a testa)“. Dunque, non si ha disaggregazione per aviolinea beneficiaria dei 220 milioni aggiuntivi rispetti ai 340 indicati dall’Art, mentre secondo il Corriere questi ultimi sarebbero andati per circa 215 milioni a Ryanair e per circa 50 a testa a EasyJet e a WizzAir. Se anche i 220 milioni aggiuntivi fossero ripartibili nella medesima percentuale, allora il beneficio per Ryanair arriverebbe a 350 milioni, mentre quello per gli altri due vettori si attesterebbe a circa 80 milioni a testa.

Ma perché i gestori aeroportuali trasferiscono così tanti soldi alle aviolinee? La risposta è duplice essendo composta nello stesso tempo da una motivazione nobile e da una meno nobile:

– sul primo versante, come spiega lo stesso Berberi: “Queste agevolazioni non sono illegali e se pensate bene contribuiscono a generare ricchezza nella zona. Si basano sul fatto che più compagnie volano in uno scalo e più passeggeri portano, più l’economia del territorio ne trae beneficio dal momento che i turisti spendono soldi per i tassisti, gli hotel, i ristoranti, i negozi, i duty free aeroportuali, il noleggio auto, i parcheggi“.

– sul secondo fronte, tuttavia, bisogna ricordare che la cifra chiave con la quale si misura il successo di un aeroporto, e del suo gestore, è il numero di passeggeri che lo utilizzano e il suo tasso di crescita rispetto all’anno prima; più passeggeri arrivano e maggiore è l’immagine e il giudizio collettivo sul gestore.

In aggiunta i gestori aeroportuali, a parte i maggiori, sono solitamente partecipati dagli enti territoriali e dalle Camere di commercio locali, e sono quasi tutti in concorrenza gli uni contro gli altri. A fronte di una quarantina di aeroporti italiani aperti al traffico commerciale, i vettori disponibili a spostarsi da un aeroporto all’altro in funzione degli incentivi che ricevono sono invece pochissimi: abbiamo visto che il più importante prende quasi i due terzi dei sussidi e che i primi tre messi assieme arrivano al 90% se non al 95% del totale. Dunque quello che abbiamo di fronte è un oligopsonio: molti venditori di servizi d’infrastruttura aeroportuale, i 40 e passa gestori, e pochissimi acquirenti, i vettori aerei, disponibili a spostarsi. Ovvio quale delle due parti abbia il coltello dalla parte del manico.

Una cosa del genere non si verifica né può verificarsi in Spagna, ove gli aeroporti sono tutti posseduti da un unico gestore aeroportuale nazionale, l’Aena, che è quotata in borsa ma resta sotto controllo pubblico, dato che il 51% delle azioni è posseduto dall’azienda pubblica nazionale per il controllo del volo, l’Enaire, mentre il 49% è posseduto dai privati che ne hanno acquistato dallo Stato spagnolo le relative azioni. Pertanto nel caso spagnolo se un vettore sceglie l’aeroporto X anziché l’aeroporto Y i proventi del traffico affluiscono comunque e indistintamente nei ricavi di Aena, la quale sosterrà poi i costi di tutti gli aeroporti posseduti, indipendentemente dal traffico di ognuno, avvalendosi dunque di sovvenzioni incrociate tra gli aeroporti a maggior traffico e quelli a minor traffico. Una compensazione di questo genere non è invece possibile tra le gestioni aeroportuali separate italiane, le quali prestano pertanto il fianco al potere di mercato dei vettori low cost.

Il lettore non esperto del settore si chiederà come siano compatibili queste sovvenzioni con le regole di equa concorrenza dei trattati Ue. Infatti non lo sono, o meglio non lo sarebbero nella sostanza, se qualcuno, a livello comunitario oppure nazionale, controllasse. Mentre lo sono nella forma solo in conseguenza del fatto che sinora nessuno ha mai controllato. Infatti esse sono autorizzate, per obiettivi di sviluppo territoriale di regioni economicamente svantaggiate e per obiettivi di continuità territoriale relativi a regioni periferiche e svantaggiate nei collegamenti.

Esse, in conseguenza, dovrebbero essere attivate:

1) solo su rotte coperte esclusivamente dal beneficiario, non su rotte in concorrenza il cui il vettore X goda della sovvenzione e il vettore Y e/o il vettore Z no;

2) per un periodo di tempo limitato, oltre il quale la rotta dovrebbe essere in grado di reggersi in condizione di mercato oppure venire soppressa;

3) in maniera trasparente e non discriminatoria, dunque tramite bandi pubblici ai quali tutti i potenziali interessati siano in grado di partecipare.

Superfluo dire che se questi criteri fossero stati rigidamente applicati gli importi di cui parleremmo oggi sarebbero solo una frazione limitata di quelli effettivi. In realtà, la terza condizione non è mai stata applicata e nessuno ha mai verificato che lo siano state almeno le prime due. Tra l’altro essendo gli importi e le condizioni contrattuali per la loro erogazione oggetto di contratti privati tra le parti contraenti e secretati, non è neppure possibile che una parte terza, ad esempio un secondo vettore che si ritenga danneggiato, ITA o la vecchia Alitalia a titolo di esempio, possa adire vie legali a sua legittima tutela.

Nel 2022 Ryanair, di gran lunga il primo vettore in Italia, ha trasportato sui nostri cieli 45,7 dei 164,3 milioni di passeggeri totali, con una quota del 28,5%. Considerando i singoli segmenti di mercato ha trasportato:

– sulle rotte nazionali 14,2 milioni di passeggeri su 32,2 totali, con una quota di mercato del 44%;

– sulle rotte infra europee e di medio raggio da essa servite (Marocco, Israele e Giordania) i restanti 31,5 milioni su un totale di 89,9 milioni, con una quota di mercato del 35%;

– sulle rotte di lungo raggio e di medio raggio escluse le precedenti non ha invece volato.

Ci si chiede in conseguenza come un vettore con tali quote di mercato, che nessuno aveva mai più raggiunto in Italia dopo la liberalizzazione europea (solo la vecchia Alitalia prima della liberalizzazione), abbia necessità di sussidi così consistenti. E a quali rotte essi si riferiscano, in quanto appare evidente come per giungere a numeri trasportati così elevati la gran parte del suo traffico Ryanair la realizzi su rotte principali ad alto traffico che certo non hanno bisogno di aiuti. In assenza di numeri disaggregati ufficiali non possiamo far altro che formulare qualche ipotesi:

– la prima è che i sussidi non riguardino, o comunque non debbano riguardare le rotte domestiche; in questo caso infatti le rotte servite sono quelle consuete, non essendovi la possibilità geografica di attivarne di totalmente nuove (al più qualche collegamento diretto “point to point” di vettori low cost può aver sostituito precedenti collegamenti con scalo intermedio via hub del precedente vettore di bandiera);

– inoltre non vi è stata alcuna crescita del mercato domestico che possa giustificare incentivi “finalizzati allo sviluppo”…; i 32 milioni di passeggeri del 2022 sul segmento sono esattamente gli stessi del 2019 e questo numero fu raggiunto per la prima volta già nel lontano 2011, dunque nessuna crescita effettiva in più di un decennio;

– siamo pertanto portati a ritenere che i sussidi riguardino, o comunque debbano riguardare, solo le rotte infra europee, per le quali in effetti la possibilità di aprire rotte in precedenza non servite è reale; ma quanto possono pesare in termini di passeggeri del vettore queste rotte sul totale del segmento?

– sembra ragionevole ipotizzare che almeno due terzi dei passeggeri trasportati da Ryanair sul segmento europeo facciano riferimento a rotte consolidate e non bisognose di aiuti mentre non più di un terzo riguardino rotte nuove, deboli, bisognose di consolidamento e meritevoli in conseguenza di essere transitoriamente sostenute da sussidi al vettore;

– in tal caso, tuttavia, i passeggeri interessati sarebbero un terzo di 31,5 milioni, dunque 10,5 milioni;

– tuttavia se dividiamo i 350 milioni di sussidi complessivi annui stimati per Ryanair per i 10,5 milioni di passeggeri stimati su rotte deboli e meritevoli di consolidamento arriviamo a un sussidio per viaggio di un passeggero pari a 33 euro, che equivalgono a ben 66 euro per un viaggio andata e ritorno.

E a cosa può servire questa cifra una volta affluita nel bilancio del vettore? A evitare la perdita economica sulle rotte deboli, e che nessun altro operatore copre a condizioni di mercato, oppure a creare un surplus che può essere utilizzato per migliorare ulteriormente la propria competitività applicando tariffe ancora più contenute su rotte in concorrenza su cui operano anche altri operatori che invece non ricevono alcun sussidio?

Chi ci garantisce che tramite sussidi incrociati le sovvenzioni erogate su rotte apparentemente nuove e deboli non vadano invece a finanziare tariffe ridotte sulle rotte in competizione, falsando la concorrenza e ostacolando in maniera non equa, sino a espellerli dal mercato, i competitori che non godono di tali finanziamenti?

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