Lasciate ogni speranza, o voi che volate…
Personale di volo e di terra insufficiente. Scioperi a ripetizione dei lavoratori (sia equipaggi che addetti a terra) che rivendicano condizioni di lavoro migliori. Caro carburante in salita. Questa la tempesta perfetta che si sta abbattendo sul trasporto aereo mondiale, un settore duramente colpito durante la pandemia, in certi casi però anche abbondantemente sostenuto dagli interventi statali (un caso su tutti: Lufthansa, rianimata con iniezioni miliardarie da Berlino, la stessa compagnia di bandiera che adesso annuncia 2.220 voli mancanti solo nell’estate, mentre il ministro del Lavoro tedesco l’accusa di licenziamenti selvaggi), e rivelatosi incapace di prevedere la ripresa dei viaggi, tanto da aver assunto tattiche suicide nel tentativo di arginare le perdite: voli sospesi (in alcuni casi con relativa perdita degli slot) e dipendenti lasciati a casa, lavoratori che ovviamente hanno cercato, e trovato, altre collocazioni, e che adesso non sono più disposti a rispondere all’appello.
Il risultato è una somma di disagi, tutti immancabilmente a carico dei viaggiatori: aeroporti trasformati in bivacchi da chi il volo lo deve aspettare per ore (anche 24), nella speranza che alla fine poi ci sia; bagagli smarriti o nemmeno mai imbarcati; check-in lentissimi, esasperanti. Torture che un mercato in così evidente ripresa non meriterebbe davvero, salvo tornare a deprimersi con cambiamenti di rotta nelle mète dei turisti: più prossimità, più trasporti su rotaia o gomma, per un mondo insomma ancora ristretto, malgrado i Paesi abbiano tutte le porte aperte. Con in più un’altra conseguenza assolutamente prevedibile: il rincaro dei biglietti. Perché nelle miopie strategiche che prediligono i rendiconti a breve termine la manovra più abusata è appunto far ricadere sui clienti i mancati introiti o gli eventuali rincari delle forniture (anche se i carburanti oggi stoccati dalle compagnie per la maggior parte sono ancora quelli acquistati con i vecchi prezzi).
Non ne fa mistero nessuno, a partire dall’ineffabile Michael O’ Leary, amministratore delegato di Ryanair, che ha tranquillamente dichiarato che “oggi i voli sono troppo economici e che nei prossimi 5 anni le tariffe sono destinate ad aumentare. L’incremento del costo dei carburanti e gli impegni ambientali causeranno un incremento nel prezzo medio dei biglietti dagli attuali 40 fino a 50 o 60 euro”. Risposta: i sindacati hanno indetto per domenica 17 luglio un nuovo sciopero di 24 ore (dopo quelli dell’8 e del 25 giugno) per piloti e assistenti di volo delle compagnie aeree Ryanair, Malta Air e della società CrewLink (la società di reclutamento di gran parte dei lavoratori della compagnia), perché “non è ancora stato avviato da parte aziendale un confronto sulle problematiche che da mesi affliggono il personale navigante”.
I lavoratori rivendicano “contratti che garantiscano condizioni di lavoro dignitose e stipendi almeno in linea ai minimi salariali previsti dal contratto nazionale del trasporto aereo del nostro Paese, come prevede la legge”. Risposta di Ryanair: chi aveva aderito allo sciopero del 25 giugno avrà il salario decurtato, e ai viaggiatori non sarà riconosciuto alcun rimborso. Un far west, dunque, dove si prevedono ricorsi al Tribunale e altri disastri: nelle precedenti giornate di protesta si sono registrate moltissime cancellazioni di voli in tutta Europa (25 solo in Spagna) e ritardi a ripetizione. A tutto questo va aggiunta la rottura delle trattative tra la compagnia scandinava Sas e i suoi piloti: un migliaio di loro in Danimarca, Svezia e Norvegia incroceranno le braccia lasciando a terra 30 mila passeggeri al giorno e provocando la cancellazione del 50% dei voli.
Una minima nota positiva è che almeno stavolta l’Italia sembra subire un po’ meno le conseguenze del caos: anche qui manca personale, è vero, ma non in maniera così massiccia come all’estero, visto che durante la pandemia gli aiuti statali e la cassa integrazione hanno consentito di mantenere i dipendenti a ruolo, e adesso, con i numeri dei movimenti addirittura migliori rispetto al 2019, ci si ritrova con i ranghi quasi completi.
Dalla tempesta perfetta di quest’estate 2022 non si vedono exit strategy facilmente percorribili, e invece si intuisce una conseguenza destinata a cambiare il mondo del trasporto aereo, soprattutto quello low cost, che sarà sempre meno low. La fortuna delle compagnie che offrono tratte a basso costo (da Ryanair a EasyJet a Volotea) è durata a lungo, basandosi sostanzialmente sul poco personale (un solo desk in aeroporto per i voli entro un largo range orario), sui check-in da remoto, sulla dissuasione allo stivaggio dei bagagli (con prezzi a pezzo che a volte superano anche quelli dei biglietti), sulla distribuzione a bordo di cibo e bevande a pagamento, sull’assegnazione dei posti predeterminati anche questa a pagamento, sulla scontistica applicata dagli aeroporti minori pur di assicurarsi lo scalo della compagnia low cost, che deve sopportare così oneri minori (EasyJet opera invece anche da Malpensa, dove però si basa su un terminal dedicato, il 2, quindi una sorta di aeroporto dentro l’aeroporto), sulla dotazione degli aeromobili (ad esempio nessun sistema di intrattenimento a bordo), sugli acquisti degli apparecchi (in numeri consistenti e in unico modello, abbattendo le manutenzioni, i magazzini e il costo-ricambi). E infine, ma forse soprattutto, sul trattamento economico dei dipendenti, assunti prevalentemente alla prima esperienza, quindi poco “costosi”, e strutturati in turnazioni particolarmente incalzanti.
Adesso, viste le diffuse rivendicazioni sindacali, ma anche le nuove esigenze dei viaggiatori (più flessibilità, più qualità), tutte le condizioni citate (ben sviluppate in un video sul canale Youtube Oneira) stanno venendo meno, ma le compagnie sono abituate bene, con bilanci sempre sostanziosi, e vorranno mantenersi sui risultati consolidati. La quadratura del cerchio sarà inevitabilmente il passaggio da low a mid, a high cost, in un riallineamento con le grandi compagnie, che nel frattempo però si ritroveranno senza tanti slot anche fruttuosi (i diritti di traffico negli scali), ceduti durante le aggressive campagne proprio delle (ex) low cost.
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