Gli effetti che il coronavirus potrà avere sull’intero sistema del trasporto aereo mondiale sono di difficile quantificazione, poiché ci troviamo di fronte a un evento che non ha paragoni con altri. Né l’attentato alle Twin Towers, né gli eventi bellici degli ultimi 50 anni, né altri tipi di epidemia hanno provocato effetti lontanamente paragonabili a quello che sta accadendo nel macrosistema economico e nello specifico nel mondo dell’aviazione commerciale. Le aerolinee che riusciranno a superare questo tsunami di proporzioni ancora oggi non quantificabili saranno costrette a ripensare integralmente le loro strategie poiché si troveranno di fronte uno scenario notevolmente diverso e ci sarà sempre meno spazio sul mercato per chi non riuscirà a ottimizzare i processi interni rispetto a una domanda che si andrà assottigliando in decisa controtendenza rispetto al trend di crescita che ha caratterizzato l’evoluzione dei flussi di passeggeri in quest’ultimo ventennio grazie all’avvento delle low cost.



Le compagnie aeree virtuose incrementeranno il loro gap reddituale nei confronti di quelle inefficienti e credo che assisteremo a ulteriori incrementi del numero degli aeroplani nelle flotte delle maggiori aerolinee low cost e dei big player tra le legacy che approfitteranno dell’attuale momento di panico generalizzato per ottenere dai costruttori di aeroplani e dai lessor condizioni di acquisto o di noleggio operativo molto vantaggiose che torneranno molto utili nel medio/lungo termine.



Un altro fenomeno a cui molto probabilmente si assisterà alla ripresa del mercato sarà quello della frammentazione degli assetti proprietari, ovvero vi saranno alcuni player, come ad esempio il gruppo Lufthansa che contiene al suo interno aerolinee di differenti Paesi, che avranno serie difficoltà nel riallocare il livello di resilienza dei costi fissi attraverso le differenti nazioni. Questo fenomeno, con molte probabilità porterà i Paesi quali l’Austria, la Svizzera e altri sprovvisti di un mercato domestico a riappropriarsi delle proprie aerolinee se vorranno offrire almeno i collegamenti internazionali essenziali ai loro cittadini.



All’interno della supply chain dell’aviazione commerciale a mio avviso si aprirà un’altra importante partita, quella dell’innovazione tecnologica sui modelli di aeroplano in commercio. Ad esempio, Boeing dovrà riappropriarsi del proprio ruolo dopo gli sventurati accadimenti legati al 737 Max. L’azienda di Seattle ha pagato un prezzo elevatissimo in quest’ultimo anno, sia in termini di credibilità che di capitalizzazione di borsa perdendo oltre il 50%. Ecco quindi che il neo nominato Ceo Dave Calhoun avrà la responsabilità di riaffermare la credibilità del marchio Boeing nel mondo in particolar modo restituendo al Max il posizionamento di mercato che compete a un aeromobile che ha tutte le caratteristiche per continuare a innovare la tradizione della serie 737, l’aeroplano più utilizzato nella storia dell’aviazione civile.

Boeing potrà contare anche sul consolidato sodalizio con l’efficienza e l’efficacia di Southwest per rilanciare il proprio aeromobile e paradossalmente quella che appare essere la più grande crisi mai occorsa nella storia del trasporto aereo potrà essere nel medio periodo un fattore di opportunità per riposizionare sul mercato il 737 Max. A riguardo un ruolo importante lo giocherà CFMI, la joint venture tra General Electric e Snecma che produce il motore Leap 1B che equipaggia il Max. Un’evoluzione del motore più coerente ai carichi aerodinamici dell’aeromobile dovrebbe diminuire il livello di emissioni di CO2 senza influire sul fattore prestazionale sia in termini di spinta che di consumo di carburante. La sfida ecologica sarà certamente l’elemento caratterizzante le strategie delle aerolinee virtuose nel prossimo decennio e non è un caso che Delta abbia già annunciato notevoli investimenti allo scopo di ridurre le emissioni di ossido di carbonio dai motori dei propri aeromobili.

In questo scenario fortemente caratterizzato da una notevole incertezza previsionale a causa dell’alto livello di varianza dei dati di analisi in termini statistici, azzardare pronostici su quello che accadrà sul mercato del trasporto aereo italiano è a dir poco arduo, certamente la storica debolezza patrimoniale delle aerolinee italiane non è un segnale incoraggiante e Alitalia, i cui asset dovrebbero essere presi da Lufthansa secondo la strategia condivisa tra il management teutonico e una parte dei governanti italiani, si ritroverà probabilmente in uno stato di enorme incertezza che causerà ulteriore elargizione di denaro pubblico, sino a quando non si sarà trovata una strategia seria e soprattutto non si terrà conto che la stessa dovrebbe essere parte di una strategia sistemica che dovrebbe considerare tutto il trasporto aereo del Paese.

Temo non succederà perché nessuna strategia seria e lungimirante può essere redatta e attuata da chi sta dimostrando con i fatti di andare avanti con un tasso di improvvisazione e di incompetenza senza uguali. E allora ancora una volta ci dovremo affidare alle low cost e più in particolare alla genialità di Michael O’Leary che sul “fancazzismo” italico imperante ha saputo costruire parte della sua fortuna.

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