Da tre giorni l’azione Atlantia scende con cali sensibili nonostante un mercato positivo trainato dalle speranze di un vaccino e di nuove cure. Le indagini e le intercettazioni uscite negli ultimi giorni non hanno fatto bene e gli investitori si interrogano su come possano impattare le negoziazioni in atto per la cessione, da parte di Atlantia, dell’88% di Autostrade per l’Italia. La società a fine ottobre dichiarava di voler continuare le trattative per la cessione fino al 30 novembre; entro quella data sostanzialmente si aspetta di ricevere un’offerta vincolante per poi procedere a sottoporre la proposta a tutti gli azionisti.
Le negoziazioni hanno due nodi principali: il primo è il piano economico finanziario della società e il secondo la manleva. Il piano economico e finanziario è fondamentale per determinare il valore di Autostrade per l’Italia perché indica quante saranno le manutenzioni da effettuare, quanti gli investimenti e con che remunerazione. Senza questi dettagli è impossibile arrivare a una valutazione. La manleva sarebbe invece richiesta ad Atlantia nel caso emergessero responsabilità dopo la cessione; bisogna, in sostanza, decidere chi risponderà di quello che potrebbe succedere, per esempio, il giorno dopo la cessione su un pezzo della rete.
Questi due elementi sono fondamentali per determinare un prezzo di cessione che accontenti tutti, venditori e compratori. Per i venditori, Atlantia, autostrade per l’Italia è di gran lunga l’asset più importante del gruppo e quello con la generazione di cassa migliore; è fondamentale quindi monetizzare bene la cessione altrimenti il gruppo che nel corso degli anni ha acquisito società in Europa, Abertis in primis, e nel mondo farebbe fatica. Per i compratori si tratta di acquisire un bene che abbia una remunerazione coerente con il rischio di gestione di una rete che si sviluppa per migliaia di chilometri e che in un caso impiega i soldi dei contribuenti.
In tutto questo bisogna sfatare un equivoco. Ieri un importante quotidiano spiegava che con 14 miliardi di euro di investimenti e 7 miliardi di manutenzioni da fare entro la fine della concessione, 2038, le tariffe non possono che salire. Questo in realtà non è esattamente vero. Autostrade per l’Italia, prima del Covid, generava più di 2 miliardi di euro di reddito operativo all’anno. Vuol dire, moltiplicato per 18 anni, che ci sarebbero tutte le risorse per fare gli investimenti, fare le manutenzioni e per abbassare le tariffe. Solo che bisogna remunerare sia i vecchi azionisti che sono proprietari dell’asset con una concessione che non si può non rispettare se non a patto di forzare una vendita con toni più o meno da Stato “venezuelano”, sia quelli nuovi che si imbarcano in un’avventura con i soldi dei contribuenti e dei risparmiatori.
La trattativa non si chiude per una banale questione di prezzo in cui tutte le parti in causa cercano di far valere le proprie ragioni tirando acqua al proprio mulino. La dimensione e la strategicità della società fanno entrare in causa soggetti, dall’Unione europea in giù, che in altre trattative non sarebbero coinvolti.
In tutto questo l’interesse pubblico, che può essere tutelato da un privato o dallo Stato, è quello di avere una rete autostradale ben mantenuta, adatta alle richieste del traffico e a tariffe compatibili con le esigenze dei consumatori, del turismo e delle imprese che usano quella rete per andare al lavoro, in vacanza o per trasportare merci. Tariffe troppo alte, in sostanza, sarebbero un problema per l’economia e per la competitività delle imprese italiane soprattutto a valle di una crisi profonda come quella che stiamo vivendo. Il colmo per un’impresa che esce malconcia dalle secche del Covid sarebbero tariffe in salita per i prossimi venti anni per usare una rete che magari, in certe tratte, non è nemmeno particolarmente “capace”.