Netanyahu è stato categorico: l’attacco a Rafah si farà comunque. E già questa dichiarazione potrebbe essere la pietra tombale sulla possibilità di accordo per la liberazione di ostaggi israeliani in cambio di detenuti palestinesi. Il punto resta quello della tregua: secondo il Wall Street Journal sarebbe in due fasi, una di tre settimane, con la liberazione di 20 ostaggi, e un’altra di dieci settimane, in cui trattare la liberazione delle rimanenti persone rapite il 7 ottobre e magari definire anche una tregua lunghissima, di un anno. La risposta di Hamas alla proposta avanzata dalla controparte secondo le ultime voci potrebbe arrivare mercoledì sera.
Visto il contesto, osserva Sherif El Sebaie, opinionista egiziano esperto di diplomazia culturale e geopolitica del Medio Oriente, è probabile che l’organizzazione palestinese dirà no anche stavolta. E che alla fine l’IDF proceda all’ultimo attacco per sgominare Hamas e riuscire a catturare i suoi capi, senza curarsi più di tanto degli sfollati palestinesi ammassati a Rafah.
Netanyahu ha dichiarato che l’operazione a Rafah si farà con o senza l’accordo sugli ostaggi. Una posizione presa anche per tenere buoni i ministri Smotrich e Ben Gvir che hanno minacciato la fine del governo se l’attacco non avrà luogo?
È una dichiarazione preoccupante, l’equivalente di un “fine guerra mai”. Ma di Hamas non si potranno mai sbarazzare: se anche riusciranno, rinascerà sotto un’altra forma. Non è solo un modo per accontentare l’ala oltranzista del governo, ma una decisione che conviene personalmente al primo ministro, non solo per la sua carriera ma anche per quello che può succedere con la Corte penale internazionale e un eventuale mandato di cattura nei suoi confronti. Se non fosse più premier, Netanyahu diventerebbe un ex politico, con tutto quello che ne consegue in termini di perdita di immunità e di protezione. Un politico non più in carica non viene più trattato con lo stesso riguardo.
Secondo il Wall Street Journal la tregua oggetto di trattativa sarebbe in due fasi, una di tre settimane con la liberazione di 20 ostaggi e una di 10 con la possibilità di liberarne altri e di arrivare a una tregua di un anno. Il nodo da sciogliere è ancora quello del cessate il fuoco, che per Hamas deve essere permanente e per Israele no?
È chiaro che Hamas punta a una tregua più lunga possibile, per prendere fiato e riprendere il controllo della Striscia. Da parte israeliana con questo numero risicato di ostaggi non so più se l’accordo sia in cima alla lista delle priorità. C’è un movimento interno dei familiari che continuano a chiederlo, ma numericamente il risultato sarebbe simbolico. Non so se valga la pena, per un esecutivo come quello di Netanyahu, concedere un anno di tregua per 33 ostaggi.
Una intesa in questi termini non sarebbe conveniente?
Se le condizioni sono queste, sono molto vantaggiose per Hamas e molto meno per Israele. Mettendosi nei panni dell’esecutivo Netanyahu non sarebbe un affare conveniente.
Nonostante le continue pressioni e manifestazioni dei familiari degli ostaggi?
Se continua così, di ostaggi non ne rimarrà nessuno, fra un po’ potrebbero non esserci più i familiari a fare pressione.
Lo scontro nel governo israeliano può portare a una rottura oppure Smotrich e Ben Gvir sanno che se usciranno dall’esecutivo sarà difficile rientrarci e quindi resteranno dove sono?
In realtà, a prescindere da come vanno le cose, sono al potere. E non credo che non abbiano più possibilità di tornarci. Dopo il 7 ottobre i coloni sono diventati più aggressivi, invogliati a sostenere la parte politica che li rappresenta. L’intransigenza di Smotrich e Ben Gvir è dovuta al fatto che dal punto di vista elettorale, almeno presso la loro base, questo atteggiamento ha un forte ritorno.
Netanyahu torna a promettere l’attacco a Rafah anche se i programmi dell’operazione non sono ancora chiari. Lo faranno comunque?
Israele sta subendo forti pressioni per non procedere, ma a questo punto per loro l’operazione sarebbe militarmente conclusa solo con l’attacco finale all’ultimo luogo in cui Hamas è rifugiata, non fosse altro per prendere almeno uno dei capi che finora non hanno preso. È solo una questione di tempo.
Se ci sarà l’attacco a Rafah, però, l’accordo sugli ostaggi rischiano di non raggiungerlo.
La risposta l’hanno già data, con o senza l’accordo l’attacco a Rafah si farà.
Quindi Hamas non potrà dire sì all’intesa su tregua e ostaggi?
È molto probabile che Hamas rifiuti per l’ennesima volta un accordo. Non sono disposti a ottenere meno di quello che si sono prefissati, cioè di farla franca, almeno a livello di gerarchia, per quello che hanno combinato il 7 ottobre.
Ma un piano per mettere in sicurezza gli sfollati palestinesi in caso di azione militare a Gaza è possibile?
A questo punto penso che non ci sia nessun piano che possa prevedere un numero. Anche una sola vittima sarebbe già troppo, visto che abbiamo superato quota 34mila. Per come sono ammassati gli sfollati, anche solo spingerli verso l’Egitto sarebbe una tragedia. Non credo che esista un piano che possa fare un numero di vittime accettabile, ammesso che si possa parlare di vittime accettabili.
(Paolo Rossetti)
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