Lettera a Quirinale, Rai, commissione Antimafia, ministra della Giustizia Marta Cartabia e al vicepresidente del Csm David Ermini contro Report. L’hanno scritta gli avvocati Basilio Milio e Francesco Romito accusando il programma condotto da Sigfrido Ranucci di interferire con il processo d’appello sulla Trattativa Stato mafia in cui sono imputati i loro assistiti, Mario Mori e Antonio Subranni. Nel mirino c’è la puntata andata in onda la settimana scorsa su Rai 3. I legali avevano chiesto di rinviarla di qualche settimana, visto che è attesa la definizione del processo d’appello nell’ambito del quale proprio il 24 maggio è cominciata la requisitoria. I legali hanno precisato di aver assicurato «la piena ed incondizionata disponibilità dei sottoscritti a fornire ogni risposta a quesiti posti e documenti utili alle vicende da trattare, al fine di garantire un’informazione completa ed obiettiva». Nonostante ciò, nessuno degli autori e dei giornalisti li avrebbe contattati. Ora i due avvocati si chiedono se i motivi di ciò «siano da rinvenire nel fatto che l’obiettivo esclusivo era quello di realizzare un’intervista da inserire nella ricostruzione teorematica e faziosa già premeditata».



LETTERA A MATTARELLA CONTRO REPORT

Accuse pesanti quelle rivolte dagli avvocati di Mario Mori e Antonio Subranni nella lettera inviata tra gli altri anche al presidente della commissione di Vigilanza Rai Alberto Barachini e al presidente della Rai Marcello Foa, oltre al capo dello Stato Sergio Mattarella e alle altre personalità citate. I due legali ritengono che Report rappresenti al pubblico «come certi ed acquisiti, i risultati di un’inchiesta giornalistica su presunti rapporti tra l’associazione Cosa nostra ed esponenti politici, della massoneria e delle istituzioni e, tra questi ultimi, il generale Mori». Inoltre, ci sarebbe «un importante tentativo di condizionamento dell’opinione pubblica». Ciò avverrebbe tramite interviste ai magistrati inquirenti che rappresentano l’accusa nel processo di cui si sta svolgendo il secondo grado. Questi «continuano a propinare le proprie ipotesi, peraltro smentite da documenti a loro conoscenza che non vengono mai menzionati, come si dimostrerà nella memoria allegata». Altrettanto rilevante per gli avvocati è il fatto che le dichiarazioni vengano rilasciate al di fuori delle aule di giustizia, venendo meno a quel riserbo che si deve tenere durante un processo, «non essendo opinionisti o influencer ma magistrati».



LA REPLICA DI REPORT

Non si è fatta attendere la replica di Sigfrido Ranucci, curatore e conduttore di Report. «Viene scambiato quello che è un diritto dovere di informare come un’interferenza». Inoltre, ha ricordato che il programma ha più volte chiesto al generale Mori e ai suoi avvocati di fornire la loro versione dei fatti, ma sempre senza esito. «C’è da più parti la volontà di non parlare di fatti che hanno riguardato la storia del nostro Paese e sui quali, al di là delle singole posizioni, si è lontani dalla verità», ha aggiunto Ranucci. E ha evidenziato che viene loro attribuita «una capacità di influenzare giudici indipendenti che non corrisponde alla realtà». A prendere le difese di Report anche il vicedirettore di Rai 3, secondo cui, se non si dovessero affrontare i fatti riguardanti i processi in corso, vista anche la loro durata, «il diritto dei cittadini di essere informati verrebbe meno per decenni. C’è da sempre una verità dei fatti giornalistica e una verità giudiziaria: la maturità di tutti è nel saperla distinguere».



IL PROCESSO

Il processo sulla Trattativa Stato mafia comunque è alle battute finali per quanto riguarda il secondo grado di giudizio. Nel primo i due imputati sono stati condannati a 12 anni, come l’ex senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri e il medico Nino Cinà, mentre 8 anni sono stati inflitti all’ex capo dei carabinieri Giuseppe De Donno. Invece 28 anni al boss mafioso Leoluca Bagarella. La Corte d’Assise d’appello, invece, ha dichiarato prescritto il reato di calunnia contestato a Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo, che in primo grado aveva avuto 8 anni. Per i giudici il reato si sarebbe prescritto il 2 aprile 2018, quindi prima della sentenza di primo grado.