Gli americani hanno subito annunciato che le trattative sono ripartite bene. E il Qatar ha chiesto all’Iran di aspettare ad attaccare Israele perché c’è la possibilità di trovare un’intesa per il cessate il fuoco a Gaza. La proposta che dovrebbe essere oggetto dell’accordo tra le parti, però, verrà esaminata con cura tra una settimana, mentre nei prossimi giorni una delegazione di Israele dovrebbe recarsi al Cairo per precisare ancora il testo prima che i mediatori ci mettano mano.



Insomma, si prende tempo. E non è chiaro, spiega Camille Eid, giornalista libanese residente in Italia e collaboratore di Avvenire, quale sia la posizione di Hamas, che aveva dato il suo sì al piano Biden per il cessate il fuoco ma che ora, dalle prime reazioni, non sembrerebbe così convinta che si tratti della stessa proposta avanzata precedentemente dal presidente americano.



In mezzo a tutto ciò resta però la possibilità che Israele anticipi tutto e metta in atto un attacco preventivo all’attesa risposta militare dell’Iran. Un’eventualità che rischierebbe di far precipitare la situazione.

Come al solito, grandi aspettative per la ripresa delle trattative, ma tutto sembra rimandato di una settimana. Che segnale è?

È la prima cosa che mi ha colpito. Si parla di un incontro al Cairo alla fine della prossima settimana, mentre tutte le diplomazie sono scese in campo in queste ore. L’arrivo anche dei rappresentanti di Francia e Gran Bretagna faceva pensare che tutti avessero cercato di essere presenti per un momento cruciale del negoziato. Invece si è rimandato tutto di sette giorni. Ci sono delle contraddizioni anche sull’esito dell’incontro: secondo Al Jazeera, per Hamas il testo su cui si lavora non è in sintonia con il piano Biden, cui i palestinesi avevano già dato il loro assenso. Mentre il comunicato di USA, Qatar ed Egitto dice che invece la proposta è basata proprio su quel piano. Non vorrei che si cerchi solo di guadagnare tempo.



Cosa c’è a sostegno di questo sospetto?

Mi limito a constatare che gli USA hanno appena dato armi a Israele per 20 miliardi di dollari, questo mentre invitano gli altri Paesi a mantenere la calma.

Intanto si è mosso anche Abu Mazen, capo dell’ANP, che ha parlato al parlamento turco con una proposta provocatoria.

Premettendo che la sua vita vale come quella di ogni palestinese a Gaza, ha annunciato che lui e tutta la leadership palestinese andranno nella Striscia. Bisogna vedere se lo lasceranno entrare e cosa intende per leadership palestinese. Dovrebbe ricordarsi di applicare i termini dell’accordo inter-palestinese delle settimane scorse a Pechino, dove tutte le fazioni hanno indicato la strada per cercare di proporsi unite. Manca la coerenza.

La possibilità che si raggiunga un accordo sul cessate il fuoco a Gaza potrebbe davvero convincere gli iraniani a non rispondere all’uccisione di Ismail Haniyeh a Teheran?

Teheran dice che se Hamas è d’accordo, vuole dire che il sangue di Haniyeh e l’affronto subito dall’Iran diventano il prezzo politico da pagare per ottenere un’intesa. Ma ci sono anche altre interpretazioni. Secondo alcuni, il sì di Hamas non toglie il diritto iraniano ad attaccare: la risposta sarebbe una deterrenza a eventuali nuovi colpi di Israele.

Il fatto che la risposta iraniana non sia ancora arrivata avvalora la prima ipotesi? Cioè che si stia aspettando l’esito delle trattative per vedere se accontentarsi dell’eventuale accordo raggiunto?

Certo. Ma c’è anche un’altra ipotesi sul tavolo, quella di assassinare un esponente israeliano, così come è stato per Haniyeh. Intanto, Hezbollah ha pubblicato un video di quattro minuti sui tunnel che ha costruito, in cui passano continuamente camion carichi di missili. In sottofondo, un discorso di Nasrallah sulla resistenza.

Tornando alle trattative, però, ci sono, come sempre, anche altri elementi da chiarire, come la posizione di Sinwar, che avrebbe chiesto a Israele di terminare le operazioni militari nella Striscia come precondizione per accedere alla mediazione. Una richiesta difficile da assecondare?

Sinwar ha chiarito che Hamas non libererà tutti gli ostaggi per poi lasciare che riprendano gli attacchi di Israele. Tel Aviv, invece, vuole seguire questa tattica, non vuole permettere la fine della guerra con Hamas rimasto ancora operativo. È importante anche il ruolo che giocheranno i garanti. L’inviato degli USA Hochstein, parlando di un’azione israeliana in risposta al raid in cui sono stati uccisi 12 bambini a Majdal Shams, aveva dato garanzie che la periferia sud di Beirut non sarebbe stata attaccata. Invece, il giorno dopo, Israele ha attaccato proprio in quella zona.

Il problema delle trattative è la credibilità di Israele?

C’è sempre qualche tentativo di fregare l’altro. Non c’è fiducia reciproca. È successo anche in precedenti tregue. Fissano un calendario per liberare a scaglioni gli ostaggi proprio per tenere meglio sotto controllo la situazione. Egitto e Qatar devono garantire che l’accordo venga rispettato da entrambe le parti.

C’è qualche elemento nuovo in queste trattative che possa far sperare in una conclusione favorevole?

Spero che rendano pubblico l’accordo per valutare se ci siano effettivamente delle novità. Lo si potrebbe capire anche dalla reazione di Hamas, che in questa prima fase non ha mandato nessuno al negoziato. Se dovesse confermare che il piano non è in sintonia con quello di Biden già accettato, sarebbero guai.

Nei giorni scorsi Israele aveva annunciato la possibilità di un attacco preventivo all’Iran, senza aspettare la risposta all’uccisione di Haniyeh. Rimane un’opzione?

Israele potrebbe decidere un’azione da mettere in atto prima della risposta iraniana. Non oso pensare cosa potrebbe succedere se fosse applicata questa soluzione in un altro scenario, come quello tra Russia e Ucraina: sarebbe incredibile. Eppure qui sembra venga presa in considerazione.

(Paolo Rossetti)

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