“Il trattato del Quirinale sarà ancora un vuoto a perdere o nascerà la Frantalia?”. Se lo chiede Francesco Sisci, sinologo e giornalista, trent’anni in Cina come inviato prima dell’Ansa poi de La Stampa, editorialista, oggi commentatore per varie testate. Macron sarà in Italia il 25 e 26 novembre per firmare con Mario Draghi il cosiddetto trattato del Quirinale: giovedì scorso è stata Bloomberg a confermare la notizia, citando fonti dell’Eliseo. Poco o nulla si continua a sapere sui contenuti del trattato, al centro di quella che ormai appare come una “macchina” – tutta politica – del silenzio.
Sisci, qual è la sua impressione?
Non conosciamo i contenuti dell’accordo, ma il segnale politico è comunque fortissimo.
Ma Lei stesso ammette che non sappiamo. Allora di cosa stiamo parlando?
Del fatto politico. Se l’accordo è vero e sostanziale, si tratta di una vera rivoluzione strategica all’interno della Ue. Il patto dell’Eliseo del 1963 tra Francia e Germania, al quale quello del Quirinale pare ispirato, era molto diverso. Esso arrivava in un momento importante di riconciliazione europea tra due paesi che si erano combattuti per secoli e nel mezzo della Guerra fredda. Francia e Germania diventavano motore economico e politico dell’Europa che affrontava l’Urss. Il tutto benedetto dagli Usa.
Oggi invece?
Oggi il patto del Quirinale arriva in un momento di grande debolezza politica dell’Italia e di grande incertezza in Europa. La Russia fa pressioni sull’Ucraina nel Donbass, cerca un’integrazione con la Bielorussia e tenta di isolare la Polonia, stringendola contro la Germania o il resto dell’Europa. Il Regno Unito è uscito dall’Unione e quindi è fuori dalla sua dialettica politica. La Cina è una sfida a 360 gradi e pone oggettivamente anche i paesi europei davanti a dilemmi importanti. La Russia, stratega a tutto tondo, vede nell’attenzione americana in Asia e nella Cina anche un’opportunità e spinge per avere spazi nel vecchio continente.
C’è poi il grande terreno dell’Africa.
Certamente. In Africa un maggiore coordinamento tra Francia e Italia può contribuire alla sicurezza del fronte sud dell’Europa e alla Nato. Ma proprio perché questo patto si inserisce in tante dinamiche così importanti, e lo fa in un momento di incertezza, se comincerà a funzionare creerà delle sfide al resto dell’Ue.
Che tipo di sfide?
Ci sarà una riunificazione fra Germania e Austria, Spagna e Portogallo, Polonia e Ucraina? Non è una battuta.
Ne è sicuro?
Come le spinte indipendentiste della Catalogna creano sommovimenti di emulazione in tutto il continente, lo stesso avverrebbe con un riavvicinamento profondo tra Francia e Italia. Questo rimetterebbe il nostro paese al centro delle dinamiche politiche europee, purché lo sappiamo, lo abbiamo calcolato e siamo preparati.
E questo è tutto da verificare. I precedenti storici non ci aiutano.
Infatti. È come andare su un treno a 300 all’ora: serve? Assolutamente sì, ma se i binari e le carrozze non sono adatti, si deraglia.
Non ci resta che aspettare. E forse potrebbe non bastare. Non è detto che i dubbi si diradino.
L’accordo dovrebbe mettere delle gambe concrete. Esempio: un sistema rivoluzionario di trasporti che colleghi l’Italia all’Elba, alla Sardegna e alla Corsica. Un sorta di “ferrovia di Napoleone”. Se così fosse, l’accordo metterebbe fine all’isolamento di Corsica e Sardegna. Lo stesso si potrebbe fare con il ponte sullo stretto di Messina. Sarebbe importante anche pensare di avere delle aziende trans-europee e transatlantiche. In quest’ottica le acquisizioni francesi o americane o tedesche in Italia sarebbero da vedere positivamente perché darebbero sostanza a questa unione; certo lo stesso dovrebbe poter avvenire all’estero per le aziende italiane, che non dovrebbero subire ostacoli.
Un progetto napoleonico…
Sì, lo è. Non solo per l’ambizione, ma anche per gli echi della storia. Napoleone si affermò grande generale a vent’anni sconfiggendo gli austriaci in Italia. Inventò la Repubblica Cisalpina e il tricolore italiano, con il verde al posto del blu francese, a sottolineare la fratellanza. Era una fase di espansione dell’Europa in tutto il mondo e di proiezione di un modello di Stato liberale che avrebbe portato alla modernità.
E non le pare che oggi i tempi siano un po’ diversi?
Totalmente. Oggi viceversa assistiamo alla crisi di quello stato liberale, che aveva permesso il successo dell’Europa nel mondo. Gli apparati statali si sono gonfiati per inerzia, per la richiesta crescente di nuovi servizi, l’assistenza sociale per esempio, o perché si ritiene oggi che ci siano vecchi servizi, un tempo privati, assicurati meglio dallo Stato: l’educazione, la salute, ma anche la polizia o la difesa.
Va detto che allora c’era una fame di conquista e di espansione.
Oggi, per fortuna, questa è scomparsa, ma ci sono Stati falliti che rappresentano un pericolo e verso cui non si ha alcuna soluzione. L’Europa pensa, giustamente, che i dittatori sono cattivi, la colonizzazione anche, e che la democrazia sia impossibile da esportare.
E non è così?
Certo. Ma non si può neppure restare inattivi, perché gli Stati falliti, in Africa per esempio, esportano terrorismo, crimine organizzato e migranti illegali.
Che fare allora?
Occorrono progetti forti, a 360 gradi, come quello di creare una rete di infrastrutture tra Europa e Africa. Qui Francia e Italia potrebbero essere molto importanti purché le cose si facciano. Ma su questo occorre coinvolgere il resto dell’Europa e gli Stati Uniti. Il patto Francia Italia non è semplicemente a due. Servono spalle molto grandi per tutto questo.
Francia e Italia le hanno?
La Francia è in grado di reggere tutto questo, ma l’Italia? Senza parlare dei riflessi interni: che impatto avrà un simile accordo nella crisi dei partiti? Sarà un nuovo vuoto a perdere italiano?
(Max Ferrario)
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