Nell’opera seminale di Edmond Dziembowski sulla Guerra dei sette anni (La guerre de Sept Ans 1756-1763 edita nel 2015 per i tipi di Perrin a Parigi) così si afferma: “È al termine della guerra di successione austriaca che i francesi iniziano a preoccuparsi del pericolo che si addensa sulla Nuova Francia (dell’America del Nord) per la crescente influenza degli inglesi nella valle dell’Ohio”. È un riferimento che dovrebbe impressionarci, proprio oggi che guardiamo troppo spesso al Trattato tra Italia e Francia come una vicenda di casa nostra, ossia solo europea e non, invece, mondiale.
I vuoti di potere internazionale non esistono: il vuoto nei rapporti tra Stati sempre si colma per la forza propria delle relazioni internazionali. Ed è ciò che accade oggi quando l’unipolarismo Usa si è esaurito per sua interna disgregazione, dinanzi all’emergere della Cina e all’isolamento territorialmente aggressivo che l’agire dissennato nordamericano ha provocato in Russia e da cui deriva la spinta centripeta tra Russia e Cina. Potenza centrifuga che viene esaltata dall’incapacità dell’Ue di trasformare la potenza economica in potenza talassocratica sia militare che diplomatica. Di qui il ruolo che le medie potenze hanno acquisito in tutti i punti di collegamento con i mari dell’Heartland: il Mediterraneo dal lato atlantico e il Mare della Cina Meridionale dal lato pacifico.
Ma il vuoto geostrategico dell’Ue deve pur venir colmato da altro emergere di potenza: è inevitabile. Di qui il ruolo sempre più importante e decisivo della Francia – potenza marittima e nucleare e a vocazione imperiale – su scala mediterranea (e quindi atlantica e africana insieme). E questo ruolo, se viene assolto nello spazio terrestre con il trattato tra Francia e Germania – che non a caso si è delineato come necessario già ben prima del crollo dell’Urss – ora deve chiamare in campo al fianco della Francia l’Italia, nonostante gli attriti, gli errori della distruzione della Libia e della Siria e dell’Iraq che il neo-isolazionismo Usa e l’insipienza franco-inglese hanno provocato lasciando spazio alla Turchia e alla Russia. Il tutto nella chiarissima decadenza italica diplomatica e politica che si dipana con drammatica evidenza da più di vent’anni.
Ecco perché il trattato franco-italico viene alla luce proprio ora: ora che la Cina deve essere contrastata con ogni mezzo e proprio ora che si deve impedire che il ponte tra Cina e Russia si saldi con il revanscismo neo-ottomano. Tutto è molto semplice se lo guardiamo dall’alto e non dal basso.
È questo che voglio dire quando reclamo una discussione pubblica sulla politica estera ed è questo che da una Repubblica dovrebbe promanare, quando ci si domanda perché così a lungo il Parlamento non è stato chiamato a pronunciarsi non sui trattati o sul trattato, ma sulle direttive della politica estera e quindi su quale possa essere “l’interesse prevalente” della Patria. Il potere dei Soviet che reclamò il disvelamento dei trattati firmati prima della Grande Guerra non è all’orizzonte. Ma un minimo di dignità nazionale e di sapienza diplomatica sono necessarie per arrestare la disgregazione della Repubblica, nel pieno rispetto delle prerogative presidenziali per quel che riguarda la compulsività giuridica internazionale dei trattati.
Non c’è bisogno di essere Lenin per invocare di risalire la china e ricominciare ad avere una politica estera che si rispetti, nel contesto tanto della Nato quanto dell’Ue. La guerra di successione austriaca, dal 1740 al 1748, coinvolse tutte le potenze europee e scoppiò per l’ascesa al trono austriaco di Maria Teresa. Il mondo è interdipendente da secoli, ben prima, dunque, della cosiddetta globalizzazione. E lo era non solo economicamente, ma anche nei rapporti di potenza tra nazioni, imperi e nuove conquiste coloniali. Non ci si dovrebbe stupire, allora, del trattato tra l’Italia e la Francia. Anche nel Settecento, nel secolo dei Lumi, tutte le potenze implicate nelle lotte europee erano tra loro legate da trattati e accordi, oltre ai legami agnatico-dinastici. Alla Francia gli inglesi rimproveravano di aspirare al dominio universale a cui Luigi XIV aveva guardato con sagacia, seguendo, del resto, l’esempio di quel Carlo V Asburgo di Spagna sul cui impero non tramontava mai il sole.
La storia universale si decideva, già nel Secolo dei Lumi, nell’America del Nord e in India, terre da cui i francesi furono cacciati e in cui gli inglesi si insediarono per poi lasciare ai Pellegrini del Mayflower tutto lo spazio che essi sarebbero stati in grado di conquistare, fondando la nazione che avrebbe dominato il mondo.
È in questo contesto universale che occorre inserire i trattati tra le nazioni, anche delle nazioni che già hanno stipulato trattati e accordi impegnativi come quelli che legano tutte le nazioni europee e che hanno dato vita all’Ue. Ma è certo notevole che, come già la Francia e la Germania decenni or sono, anche la Francia e l’Italia oggi siano spinte a occupare quel vuoto di cui parlavo poc’anzi.
Tutto deve partire da questa consapevolezza: i temi economici, culturali, delle forze armate in campo e di cui nel Trattato ci si occupa, hanno rilevanza mondiale ben più che europea. Per questo vanno discussi e affrontati con piena consapevolezza. Ma la consapevolezza necessaria deve essere “di lungo periodo e di largo sguardo”, si sarebbe detto un tempo. Ciò che oggi manca.
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